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L'eolico, l'edilizia, il turismo: gli affari miliardari del boss Matteo Messina Denaro

Il villaggio di Punta Fanfalo, a Favignana, sequestrato nel 2018 agli eredi di Carmelo Patti

Soldi, tantissimi soldi: quantificare il tesoro di Matteo Messina Denaro è difficile anche per gli investigatori. Ma una stima, per difetto, dei guadagni di una vita di traffici di droga, estorsioni, riciclaggio nei settori più disparati si può azzardare sulla base di quel che lo Stato, negli anni, è riuscito a sottrarre al padrino di Castelvetrano e ai suoi prestanome. Si parla di quasi 4 miliardi di euro.

Una parte della fortuna è stata accumulata con investimenti nelle rinnovabili, in particolare l’eolico, settore «curato» per il boss dall’imprenditore trapanese Vito Nicastri, l’ex elettricista di Alcamo e pioniere del green in Sicilia, che per anni avrebbe tenuto le chiavi della cassaforte del capomafia. Poi c'è l’edilizia e la grande distribuzione, attraverso la «6 Gdo» di Giuseppe Grigoli, il salumiere diventato in poco tempo il re dei Despar nell’isola al quale furono sequestrati beni - di proprietà del boss secondo i magistrati - per 700 milioni. E il turismo: ci sarebbero stati i soldi del capomafia, secondo i pm, nell’ex Valtur, un colosso del valore di miliardi di proprietà di Carmelo Patti, l’ex muratore di Castelvetrano divenuto capitano d’azienda che, come Al Capone, finì nei guai per un’accusa di evasione fiscale. Braccio destro di Patti, raccontano le inchieste, era il commercialista Michele Alagna, padre di una delle amanti di Messina Denaro, Francesca, che al boss ha dato una figlia mai riconosciuta che porta il cognome della mamma.

Nel 2018 il tribunale di Trapani gli sequestrò beni per 1,5 miliardi, un delle misure patrimoniali più ingenti mai eseguite, disse la Dia. I sigilli vennero messi a resort, beni della vecchia Valtur, una barca di 21 metri, un campo da golf, terreni, 232 proprietà immobiliari e 25 società.

I tentacoli di Messina Denaro sarebbero arrivati anche in Venezuela, regno dei clan Cuntrera e Caruana che da Siculiana colonizzarono Canada e Sudamerica, diventando monopolisti del narcotraffico. Un pentito «minore», Franco Safina, raccontò che Messina Denaro aveva un tesoro lì nel Paese sudamericano creato investendo 5 milioni di dollari in un’azienda di pollame. Per gli inquirenti un evidente escamotage per riciclare i proventi del traffico di stupefacenti. E di Venezuela parlò anche il collaboratore di giustizia Salvatore Grigoli, il killer di don Pino Puglisi. Ferito in un attentato, si era nascosto ad Alcamo. «Se vuoi, per un certo periodo te ne vai in Venezuela e stai tranquillo», gli avrebbe detto il padrino che, sospettano gli inquirenti, in Sudamerica come pure in Tunisia, sarebbe andato anche da latitante.

Ma se, come sono certi i magistrati, solo una parte del tesoro del padrino è stata trovata e confiscata, a quanto ammonta il suo patrimonio? Le ricchezze illecite ancora da scoprire sarebbero enormi. A partire dai soldi che gli sarebbero stati affidati da Totò Riina. «Se recupero pure un terzo di quello che ho sono sempre ricco», diceva il capomafia corleonese, intercettato, parlando durante l’ora d’aria con un altro detenuto. «Una persona responsabile ce l’ho e sarebbe Messina Denaro. Però che cosa fa per ora questo Matteo Messina Denaro non lo so. Suo padre era uno con i c...», spiegava all’amico mostrando una qualche diffidenza sulla capacità gestionale del boss trapanese. E rivelando che parte del suo patrimonio potrebbe essere stato affidato proprio agli alleati di Castelvetrano.

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