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A Messina Denaro bastò un quarto d'ora per trovare un posto di lavoro alla zia

Le intercettazioni alla zia di Matteo Messina Denaro tornano a far parte dei filoni d’indagine

L'arresto del boss mafioso Matteo Messina Denaro

«Tu unni voi iri a travagghiare? E dopo un quarto d’ura mi sona u telefonu... E mi rice accussì: “Domani verso le quattru, vai ntà la via Quattro novembre alla Cassa mutua. Presentati nì iddu...». Quindici minuti di orologio per trovare un posto di lavoro, il regalo che Matteo Messina Denaro, «Iddu», allora non ancora latitante, fa alla zia Rosa Santangelo la sorella della madre Lorenza. Siamo nel 2013, quando l’intercettazione ambientale - rigorosamente in dialetto castelvetranese - capta il racconto di una vicenda che risale al 1993, prima ancora che il giovane diventasse un latitante ricercato per omicidio e negli anni per stragi.

La zia del boss, Rosa, sta parlando col fratello Giovanni: entrambi sono sotto osservazione perché gli inquirenti immaginano che in qualche modo abbiano contatti con il nipote ricercato. E la donna ricorda come Matteo, «Iddu», in pochissimo tempo gli ha trovato un posto di lavoro a Castelvetrano: una testimonianza inequivocabile del potere che la famiglia Messina Denaro, grazie al ruolo del capostipite, Francesco, era in grado di esercitare. Il verbale dell’intercettazione è depositato agli atti di un processo tenutosi a Marsala e terminato nel 2015, presidente Gioacchino Natoli, pubblici ministero Carlo Marzella e Paolo Guido. Sul banco degli imputati ci sono Francesco Guttadauro, Anna Patrizia Messina Denaro, altri tre fiancheggiatori del boss. E potrebbe ricalcare uno dei filoni di indagine che oggi Guido, diventato procuratore aggiunto e coordinatore dell’inchiesta guidata dal procuratore Maurizio de Lucia che ha portato alla cattura di Messina Denaro: la pista dei soldi.

Già, perché è indagando su una serie di movimenti bancari, e di contanti consegnati da amici e dalla zia Rosa Santangelo ad intermediari, e destinati ad alimentare la cassa personale di Matteo, che questa storia finisce sotto gli occhi degli inquirenti. Un copione che potrebbe ripetersi, dato che i pm della Direzione Distrettuale Antimafia, impegnati con i carabinieri del Ros e in collegamento con la Procura nazionale antimafia, non stanno tralasciando alcuna pista per risalire all’intera rete dei fiancheggiatori del boss stragista. Uno dei versanti di indagini riguarderebbe la disponibilità economica di cui ha potuto disporre Messina Denaro da latitante. Ed è illuminante, per capire come funzionava in passato il meccanismo con cui venivano assicurati al boss i soldi necessari per affrontare la vita quotidiana, e le spese per gli spostamenti, risalire all’intercettazione ambientale che racconta uno spaccato importante della sua vita.

La zia Rosa, così, rivela al fratello che «Iddu» sa «soccu succede nta la so famigghia». E aggiunge: «Io mi ricordo una cosa, Giovà... Io avia bisogno di travagghiare. Ero alla fine ru curtigghiu (il cortile dove abitavano i Messina Denaro, ndr), «e sento grapire lu finestrune... ed era iddu... Ci rissi: “Haiu bisogno di travagghiare”».E il nipote: «Ma tu unni voi iri a travagghiare?». La zia gli dice che va bene qualsiasi cosa, anche la bidella in una scuola. E dopo un quarto d’ora ecco il posto di lavoro: «Due anni e mezzo travagghiavi alla Cassa Mutua...», rivela la donna al fratello e agli investigatori.

Tornando ad oggi: l’avvocato Giuseppe Pantaleo sta valutando se presentare istanza al Tribunale del Riesame per conto di Alfonso Tumbarello, il medico che ha prescritto una valanga di ricette e ricoveri per Messina Denaro. Mentre l’avvocato Giuseppe Ferro attende risposta dal gip per l’istanza di incidente probatorio legata al coltello che Giovanni Luppino, l’agricoltore-autista, teneva in tasca il giorno in cui è finita la latitanza del boss.

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