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La sentenza di Trapani: l'operazione Scrigno provocò un terremoto politico

Panorama di Trapani

La fotografia che è venuta fuori dal processo Scrigno conferma che la mafia in provincia di Trapani esiste e mantiene il controllo del territorio. Un territorio dove i mafiosi non sono persone sconosciute e senza volto, qui al contrario alcuni politici hanno dimostrato di conoscere nomi, cognomi e luoghi dove andarli a trovare, com’è stato raccontato nel rapporto informativo dei carabinieri del reparto operativo provinciale di Trapani.

L’esito del processo Scrigno è uno dei risultati di un’attività investigativa che nel tempo i carabinieri sono riusciti a condurre in diversi centri della provincia di Trapani, inquadrando una rete di rapporti e relazioni inquietante. La stesse relazioni inquietanti che vengono fuori ancora oggi dopo l’arresto dell’ex primula rossa di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro. Cosa nostra non ha mai deposto le armi, le scarcerazioni nel tempo hanno visto la riorganizzazione dei mandamenti e delle famiglie, dove i mafiosi sono tornati a incidere sul territorio, a inquinare la pubblica amministrazione, puntando ai palazzi più importanti, sino alle aule parlamentari. Dove, accanto ad una politica parolaia sulla legalità, in alcune stanze si stringevano alleanze e accordi del malaffare.

L’operazione dei carabinieri provocò un vero e proprio terremoto politico in tutto il trapanese. L’inchiesta «Scrigno» ricompose attraverso intercettazioni e indagini mirate un quadro di relazioni molto fitto tra la mafia e la politica in provincia, che trovavano un interessato punto di incontro negli appuntamenti elettorali. «A Trapani tra il 2017 e il 2018 c’è stato un “patto sinallagmatico” tra mafia e politica, da una parte le prestazioni, dall’altra i corrispettivi». Così descrissero nella requisitoria, il periodo, i pm De Leo e Bettiol.

Scrigno vide l’arresto di diversi personaggi appartenenti alla cosca mafiosa di Trapani, come i fratelli Francesco e Pietro Virga, l’ex consigliere comunale Franco Orlando, Nino Buzzitta. I fratelli Virga dalle risultanze investigative avevano preso in mano il mandamento mafioso di Trapani dopo l’arresto del padre Vincenzo, detenuto al 41 bis presso la casa circondariale di Milano Opera. Il processo a Trapani si è aperto il 15 maggio del 2020, originariamente erano nove gli imputati, ma uno è deceduto. Scrigno ha avuto già un epilogo, anche in secondo grado, per i 17 imputati imputati che hanno scelto l’abbreviato. I giudici d’Appello hanno condannato a 12 anni di reclusione Carmelo Salerno (capomafia di Paceco, era stato assolto in primo grado), aumentato le pene per Michele Martines da 5 anni e 4 mesi a 13 anni e 4 mesi, per Francesco Orlando da 5 anni e 4 mesi a 12 anni e 8 mesi, per i fratelli Virga, Francesco e Pietro (rispettivamente da 8 anni a 16 anni e 8 mesi e da 8 anni a 19 anni e 4 mesi). Diminuite invece le condanne per Francesco Russo, che è passato dai 4 anni del primo grado ad un anno e sei mesi e per Jacob Stelica da 4 anni ad un anno. Per quest’ultimi due la pena è stata sospesa. Confermato infine il verdetto di primo grado per Vincenzo Ferrara (3 anni e 4 mesi), Francesco Peralta (8 anni e 4 mesi), Giuseppe Piccione (8 anni), Pietro Cusenza (8 anni e 4 mesi), Mario Letizia (8 anni e 4 mesi), Leonardo Russo (3 anni), Michele Alcamo (3 anni) e Antonino D’Aguanno (3 anni e 4 mesi), Francesco Todaro (assolto) e Tommasa Di Genova (assolta).

 

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