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Nei pizzini il boss la chiamava Fragolone, teneva anche la cassa la sorella di Messina Denaro

Nei pizzini che per anni gli hanno assicurato le comunicazioni con i suoi durante la latitanza la chiamava Fragolone. Un nome in codice che ricorre spesso nei messaggi del boss Matteo Messina Denaro e che il capomafia aveva affibbiato alla sorella Rosalia. Punto di riferimento economico del padrino, essenziale nella trasmissione degli ordini e delle direttive del fratello, in grado di aiutarlo a evitare gli ergastoli nel tempo collezionati «per i reati più gravi e terribili commessi nella nostra storia repubblicana», Rosalia, la maggiore delle sorelle del boss, oggi è finita in cella con l’accusa di associazione mafiosa. Prima di lei erano stati arrestati un’altra delle sorelle Messina Denaro, Patrizia, tre cognati, il marito, il figlio e il genero.

Durante la latitanza del padrino teneva la cassa con periodici resoconti delle spese e dei residui fondi a disposizione. «Mi fai sempre lo spekkietto finale, così so quanto c’è», scriveva in uno dei pizzini trovati la donna che, secondo i pm, assolveva il ruolo forse più affidabile: quello di referente per tutti gli affari di famiglia e quella di fedele detentrice del denaro contante.
Fedelissima al capomafia ha finito, involontariamente, per determinarne l’arresto. E’ stato infatti un appunto dettagliato sulle condizioni del fratello, da lei scritto e nascosto nell’intercapedine di una sedia, a dare agli investigatori l’input che ha portato, il 16 gennaio scorso, all’arresto del boss. L’hanno trovato il 6 dicembre i carabinieri, mentre piazzavano delle microspie nell’incavo di una sedia nella sua casa di Castelvetrano. L’hanno fotografato e rimesso a posto e poi l’hanno decifrato.

La donna, che secondo il gip avrebbe abitualmente incontrato il fratello in latitanza, aveva scritto, probabilmente per poter consultare uno specialista, un vero e proprio diario clinico di un malato di cancro. Nessuno dei familiari di Rosalia però soffriva di patologie oncologiche. Il sospetto, vista anche la necessità di nascondere il biglietto, era allora che si trattasse del latitante.

I militari dell’Arma attraverso accertamenti effettuati prima al ministero della Salute e poi su banche dati sanitarie nazionali, sono arrivati a identificare un maschio di età compatibile con quella del latitante che si era sottoposto agli stessi interventi chirurgici indicati nell’appunto. Si trattava di Andrea Bonafede, geometra di Campobello di Mazara e nipote del boss locale. I tabulati telefonici hanno dimostrato, però, che il geometra non poteva essere il paziente oncologico di cui si parlava nel pizzino, perché nei giorni in cui il malato subiva le operazioni, una a Mazara del Vallo l’altra a Palermo, Bonafede si trovava a casa sua a Campobello.

Gli indizi a quel punto portavano tutti a Messina Denaro. L’analisi della cartella sanitaria digitale ha condotto gli inquirenti alla visita prenotata a nome Bonafede alla clinica “La Maddalena» il 16 gennaio 2023. E alle 9.15 è scattato il blitz che ha messo fine alla trentennale latitanza del padrino di Castelvetrano.
Dopo l’arresto del boss, perquisendo il suo covo ma anche la casa di Rosalia, i carabinieri hanno trovato decine di pizzini: molti riguardavano i conti del clan, alcuni riflessioni sulla vita (“muore davvero solo chi viene dimenticato e io non lo sarò mai», scriveva Messina Denaro), uno era pieno di invettive contro la figlia naturale, Lorenza (“degenerata nell’infimo”). E un altro era una sorta di manifesto politico contro uno Stato che il boss non riconosceva.

Fedele esecutrice degli ordini del fratello, che le spiegava anche con dei disegni come mantenere i contatti con i suoi uomini, come accertare la presenza di eventuali telecamere degli investigatori e distruggerle e quali segnali - lo straccio appeso alla finestra ad esempio - lanciare nel caso in cui temesse la presenza degli inquirenti, Rosalia da oggi è in carcere. Come Matteo e gran parte della sua famiglia di sangue e mafiosa.

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