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«Lui sì che fa cose buone», la 'ndrangheta preferiva Messina Denaro ai Corleonesi

Due capiclan intercettati nel 2018 accusano i capimafia del palermitano che con i loro abusi hanno causato l’avvento del famigerato 41 bis.

L'arresto del boss mafioso Matteo Messina Denaro

Messina Denaro «un signore che fa sempre cose buone», al contrario dei capimafia del palermitano che con i loro abusi hanno causato l’avvento del famigerato 41 bis. I due padrini della ‘ndrangheta, poi coinvolti nel processo Rinascita Scott, non lesinano i complimenti alla ex primula rossa in una intercettazione registrata dai carabinieri del Ros nel 2018. «È buono, fa sempre cose buone - dicono - è uguale a come era suo padre, che è stato latitante 30 anni e quando è morto lo hanno messo in una bara e glielo hanno portato davanti casa ai familiari. Il figlio è come il padre, fa sempre del bene, si comporta da signore. Per questo lo ascoltano tutti»...

Il mafioso 2.0, stile più manageriale, che pensa agli investimenti e spende. «È più simile a noi», chiosano i due boss. Al contrario di altri siciliani, che non meritano lo stesso rispetto. A cominciare da Totò Riina e Bernardo Provenzano, bollati senza troppi riguardi, come responsabili dell’adozione del carcere duro per i mafiosi. «Ma i siciliani hanno “a vucca”, specialmente i palermitani e i catanesi...Ma che era cosa uccidere quei giudici? Riina e Provenzano ficiru abusi, abusi chi mancu i cani. Hanno fatto abusi, altrimenti il 41 non c’era. Dicevano: abbiamo amici al Senato, e perché non li nomini ora a questi amici del Senato?».

Un servizio completo di Connie Transirico in edicola oggi sul Giornale di Sicilia

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