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Mafia, lite tra boss sulla presunta morte di Matteo Messina Denaro: «È vivo e vegeto, chiedi scusa»

Matteo Messina Denaro

Il superlatitante è presente e operativo. In una intercettazione del 4 giugno 2021, Piero Di Natale e Marco Buffa, tra i 35 arrestati nell'operazione antimafia «Hesperia», coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, parlano di Matteo Messina Denaro. “È vivo e vegeto”, dice Di Natale, rivelando di averne discusso direttamente con Franco Luppino, indicato dagli investigatori come uno dei fedelissimi del boss e tornato in carcere nel blitz di oggi.

Matteo Messina Denaro “vivo e vegeto”

Vivo e pienamente operativo. Il superlatitante in un pizzino avrebbe anche dato rassicurazioni ai suoi fedelissimi, sottolineando di essere "qua come prima, anzi più di prima”. E nel pizzino lo stesso Messina Denaro avrebbe mandato i saluti a un certo «Sandrone», non meglio identificato.

«Chiedi scusa...», dice Di Natale a Buffa, accusandolo di aver raccontato in giro che il boss latitante è morto. «È vivo e vegeto!". E ancora: «Non facciamo che ci dovesse essere qualche colpo di "samba"...»

A quel punto Buffa, temendo per la propria incolumità, risponde a Di Natale riferendo che si sarebbe recato da una terza persona, che dalla conversazione sembrerebbe Franco Luppino, per rassicurarlo sul fatto che non sia lui il responsabile delle notizie sulla presunta morte del latitante, indicato in questa occasione con l'appellativo di «Ignazieddu».

Di Natale però, continua ad avvertirlo: "Vedi che è arrivata la notizia di questo discorso...non parlare in giro di questo fatto che hai detto tu che è morto... perché già la notizia gli è arrivata che... che c'è stato qualcuno sta dicendo che 'Ignazzeddu' è morto...vedi che a quello quando pare che non gli arriva... perché ha sempre 7... 8 persone che lo informano...".

I boss e l'ossessione delle intercettazioni

Dall'indagine dei carabinieri sulla rete di presunti favoreggiatori di Matteo Messina Denaro emerge anche l'ossessione da parte dei boss del mandamento trapanese di essere intercettati. In particolare temevano che Francesco Luppino  potesse essere nuovamente scoperto dalle forze dell'ordine. Lui era tornato a comandare, secondo quanto sostengono gli investigatori, ma lo si voleva a tutti i costi difendere dalle intercettazioni.

Parlando fra loro Piero Di Natale e Franco Raia (anche lui fra gli arrestati), come emerge dalla carte dell'inchiesta, viene presa la decisione: "Gli dobbiamo trovare un nome a lui per chiamarlo in maniera diversa..." dice Raia. Alla fine si decide di chiamarlo Gianvito.

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