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Trovati nuovi tesori sommersi, secondo itinerario subacqueo a Marettimo: il video

Nuove ancore di età romana e un’antica anfora sono state individuate nel fondali vicino al porto di Marettimo: diventeranno i tesori da ammirare nel secondo itinerario sommerso dell’isola egadina, dopo il percorso dei Cannoni. In totale, è il venticinquesimo itinerario archeologico subacqueo della Sicilia. Si trova nel punto di immersione denominato «San Simone 3», a poche centinaia di metri dal porto di Scalo nuovo.

Venticinque itinerari regionali

Del nuovo itinerario si è parlato, contestualmente alla proiezione del video di documentazione del sito realizzato da Riccardo Cingillo (qui visibile anche per i lettori di Gds.it), in occasione del Festival Fishtuna 2021, a Favignana. «Questo nuovo itinerario di immersione – sottolinea l’assessore regionale ai Beni culturali Alberto Samonà – conferma l’importanza che ha l’archeologia subacquea nell’offerta culturale regionale. I venticinque siti ad oggi identificati e segnalati dalla Soprintendenza del Mare, guidata da Valeria Li Vigni, costituiscono un’importante offerta che consente agli amanti delle immersioni di poter scoprire la parte nascosta della storia della Sicilia e dei traffici che si svolgevano lungo le rotte del Mediterraneo».

I tesori ritrovati

Il sito di immersione, che è ben conosciuto dai diving center locali, si espande per un raggio di 50 metri ad una profondità variabile dai 15 ai 34 metri. Durante le riprese video, realizzate dalla Soprintendenza del Mare, sono stati rilevati un’ancora ammiragliato a una profondità di 27 metri, un ceppo di ancora romana a 34 metri, due ancore litiche a 28 metri, una di forma sferica a goccia e una a forma esagonale, un’ancora di ferro a forma di croce - possibilmente tardo romana - a 27 metri e, infine, un’anfora in perfetto stato di conservazione del tipo Dressel 1C a 31 metri di profondità. Il paesaggio sommerso è costituito da roccia e Posidonia con alcuni anfratti e grotte facilmente visitabili dai subacquei. Alla missione erano presenti la Soprintendente Valeria Li Vigni assieme a Ferdinando Maurici e Pietro Selvaggio. «Sul sito – dice la Soprintendente Li Vigni - abbiamo effettuato anche visite guidate dai sub della SopMare su segnalazione del diving, riscontrando ancore di diverse tipologie, tra cui un’ancora Dressel 1A. La ricognizione ci fa ben sperare anche sulla possibilità di definire un nuovo e ulteriore itinerario che andrebbe ad arricchire l’offerta della fruizione del patrimonio sommerso di Marettimo». L'unico esistente, quello dei Cannoni, si trova dall'altra parte dell'isola, non è facilmente raggiungibile, soprattutto in caso di mare mosso. Questo diventerà quello facilmente accessibile a tutti.

Perché tenere i reperti in mare

La scelta di mantenere i tesori nei fondali segue la linea di gestione indicata già da Sebastiano Tusa, l'ideatore della Soprintendenza del Mare. Lo spiega la stessa Valeria Li Vigni, consorte  dell'archeologo scomparso nell'incidente aereo di due anni fa in Etiopia. «La sua idea - dice - è di rendere fruibili i reperti archeologici sommersi con i percorsi subacquei, quando questi sono a profondità facilmente raggiungibili. Diverso è il caso dei rostri di Levanzo, trovati a profondità enormi, 95 o 100 metri. In quel caso li preleviamo, perché è impossibile che si vada in immersione fino a quelle profondità. Ma se come nel caso di Marettimo troviamo delle anfore o delle ancore a bassa profondità, riteniamo che sia giusto mantenerle in sito».

Il rapporto con i diving

Come negli altri percorsi archeologici sommersi, ogni reperto verrà illustrato dalle didascalie, l'itinerario sarà poi affidato alla sorveglianza dei privati, ovvero i diving center del territorio. «La possibilità di portare i visitatori a vedere i reperti archeologici diventa un valore aggiunto nell'immersione - spiega la Soprintendente del Mare - ed è per questa ragione che i diving hanno tutto l'interesse a tutelare la sicurezza del sito». L'obiettivo è contrastare un passato fatto di razzie. Già Tusa aveva cominciato con un'opera di sensibilizzazione collettiva nei confronti dei predatori del mare. «Aveva scelto la musealizzazione in sito - prosegue Valeria Li Vigni - per evitare di riempire i magazzini di reperti in attesa di spazi espositivi». Ma per farlo aveva bisogno di mettere fine all'epoca delle appropriazioni indebite, come quella - la più nota - del rostro numero 1 della battaglia delle Egadi (prima guerra punica), che un pescatore aveva ritrovato nelle sue reti e aveva donato a un dentista di Trapani in cambio di una prestazione professionale. Oggi l'assistenza del sistema marittimo è un risultato pressoché acquisito. La SopMare tuttavia ha studiato un progetto di antifurto, un sistema Sonic Imprint, alimentato attraverso pannelli solari. Una leggera pressione non fa scattare l'allarme, ma un prelievo del reperto sì. Come in un museo terrestre. Il mare siciliano diventa piano piano un enorme museo archeologico.

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