Con l’ultimo rostro della Battaglia delle Egadi, recuperato stamattina, salgono a 27 quelli ritrovati a partire dai primi anni Duemila. I rostri erano micidiali armi di distruzione che, applicate sulla prua delle navi da guerra, consentivano lo speronamento delle imbarcazioni nemiche e il conseguente affondamento. Negli ultimi 20 anni sono stati individuati anche 30 elmi del tipo Montefortino, appartenuti ai soldati romani, due spade, alcune monete e un considerevole numero di anfore.
La Battaglia delle Egadi, combattuta a nord-ovest dell'isola di Levanzo nel 241 avanti Cristo, segnò la fine alla prima guerra punica. Fu l'archeologo Sebastiano Tusa a comprendere che la battaglia si era svolta al largo di Levanzo, contrariamente al pensiero comune tendente a riconoscere in Cala Rossa (rossa come il sangue dei soldati uccisi...), a Favignana, il luogo di quella battaglia. L'intuizione di Tusa fu raccontata tre anni fa dalla moglie Valeria Li Vigni, che conosce bene tutti gli studi del marito prematuramente scomparso nell’incidente aereo in Etiopia del marzo 2019.
«I fondali delle Egadi – dice l’assessore regionale ai Beni culturali, Francesco Paolo Scarpinato – sono sempre una fonte preziosa di informazioni per aggiungere ulteriori conoscenze sulla battaglia navale tra la flotta romana e quella cartaginese. L’intuizione di Sebastiano Tusa continua ancora oggi a ricevere conferme sempre più puntuali, avvalorando gli studi dell'archeologo che avevano consentito l'individuazione del teatro della battaglia che sancì il dominio dei Romani sul Mediterraneo».
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