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In un pizzino il piano di Messina Denaro: «Non morirò di tumore, se non ce la faccio mi uccido»

Messina Denaro nel giorno del suo arresto

Progettava di farsi trovare già morto, così com'era accaduto con il padre, il patriarca e boss del mandamento di Castelvetrano, don Ciccio Messina Denaro, piuttosto che farsi uccidere dal tumore, che ormai da tempo lo ha aggredito, o farsi catturare dalle forze dell'ordine, cosa che però è poi accaduta.

In uno dei pizzini ritrovati nella casa della sorella Rosalia (in carcere dallo scorso 3 marzo) Matteo Messina Denaro comunicava le sue ultime volontà. Era il 10 maggio 2022. «Ero tutto bagnato dal sudore - scriveva alla sorella - Diletta lavava i miei indumenti, li torceva ed uscivano gocce di acqua, era senza parole». Diletta è Lorena Lanceri, anche lei finita in carcere con il marito Emanuele Bonafede, e viene indicata dagli investigatori come la vivandiera.

Messina Denaro: «Non morirò di tumore»

E in quel pizzino l'allora boss aggiungeva: «Ho capito, anche se già lo sapevo, che ho una forza di volontà stupefacente, invidiabile, non cammino col fisico, cammino con la forza di volontà. Io mi fermerò appena morirò, non prima».

L'ex primula rossa, qualche mese prima dell'arresto, aveva in mente un finale diverso per se stesso, e lo aveva pure scritto alla sorella maggiore Rosalia: «Non morirò di tumore, appena non ce la faccio più mi ucciderò a casa e mi troverai tu. Ti dirò quando arriverà il momento». Probabilmente aveva pensato di suicidarsi con il revolver che teneva in casa e che è stato sequestrato dagli investigatori. Ma secondo quello che credono inquirenti e investigatori, alla sorella maggiore Rosetta, come veniva chiamata dai familiari la donna, avrebbe dato anche istruzioni per svolgere il compito più delicato, probabilmente l'ultimo: quello di far scomparire tutto ciò che riguardava al sua trentennale latitanza, i suoi segreti di boss mafioso le sue complicità eccellenti e i suoi misteri più eclatanti che conducono con ogni probabilità dritti al cuore dello Stato. Segreti che passano attraverso i mille e passa pizzini rinvenuti in queste settimane fa tra le abitazioni di vicolo San Vito e in quelle di Castelvetrano e Campobello di pertinenza della sorella ed ora al vaglio dei carabinieri del Ros.

Ma non è escluso che possano esserci altri nascondigli. Trent'anni sono veramente lunghi, del resto lui a Campobello di Mazara ci abitava dal 2018, prima avrà avuto a sua disposizione altre compiacenze ed altri aiuti da parte di moltissima gente della provincia di Trapani ma anche del resto della Sicilia e pare anche in Calabria. Con gli 'ndraghetisti aveva un fortissimo legame e anche in quelle zone Matteo Messina Denaro godeva di buone relazioni e di aiuti all'occorrenza. Per questo le ricerche coordinate dal procuratore Maurizio de Lucia e dall'aggiunto Paolo Guido non si sono mai fermate.

Messina Denaro e il rapporto con la morte

Per se stesso Messina Denaro voleva un finale uguale a quello del padre, che stroncato da un infarto fu fatto trovare la sera del 30 novembre del 1998 in una stradina di campagna di Mazara, con le mani giunte già vestito di tutto punto e sul quale la moglie Lorenza al suo arrivo, poggiò un cappotto di Astrakan. Ma del rapporto che aveva con la morte lo stesso Messina Denaro aveva scritto anni fa all'ex sindaco Tonino Vaccarino: «Con la morte ho un rapporto particolare. Da ragazzo la sfidavo con leggerezza da incosciente, da uomo maturo la prendo a calci in testa perché non la temo. Non è una questione di coraggio. Semplicemente non amo la vita». E ancora: «Quando la morte verrà mi troverà a testa alta e sarà uno dei pochi momenti felici che ho vissuto».

Messina Denaro, le parole sui «traditori»

Messina Denaro rinchiuso al 41 bis nel carcere dell'Aquila pare non abbia digerito le modalità in cui è avvenuto il suo arresto. «Da qualche giorno a questa parte tutta la Palermo bene ha le unghie ammucciate», avrebbe detto pochi giorni dopo l'arresto ad un medico che lo stava visitando. Parole che sembrano confermare che tra i suoi sospetti c’era stato un possibile tradimento tra i personaggi di quella Palermo bene che per decenni ha fatto affari con lui e indirettamente protetto la sua latitanza.

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