La serenità di un imprenditore che con i fatti diceva «no» al racket. Senza toni apocalittici, tracciando col suo sorriso cordiale e sicuro il confine che lo separava dalla peggiore Sicilia. Eccolo Gregory Bongiorno, l'imprenditore morto ieri a 47 anni nella sua casa di Castellammare del Golfo, quel 9 settembre del 2013, che accoglie a Castellammare del Golfo le ragazze e i ragazzi di Libera e di Addiopizzo che hanno organizzato una «colazione di solidarietà» per sostenerlo: lui, imprenditore di 38 anni titolare dell’azienda Agesp, in modo semplice e rivoluzionario si era rifiutato di pagare il «pizzo» ad un clan di estortori della sua città, aveva denunciato tutto alla Squadra mobile di Trapani, che dopo le indagini aveva arrestato tre esattori del clan. E senza arretrare di un passo, quella mattina di settembre tiepida e senza vento, in un bar all’ingresso della sua città con accanto la sorella Silvia, aveva sorseggiato un caffè, raccontando la sua storia. Pendevano dalle sue labbra anche i volontari di Coop Lombardia, arrivati in Sicilia giorni prima e accompagnati dal coordinatore di Libera a Trapani, Salvatore Inguì, per coltivare gli ulivi di un terreno confiscato a Castelvetrano a un «picciotto» legato a Matteo Messina Denaro.
Bongiorno raccontò la storia della sua famiglia, ed è doveroso ricordare le sue parole, pubblicate dal Giornale di Sicilia il 10 settembre del 2013: «Che ricordo ho di mio padre? Andavo al quarto ginnasio, primo anno di Liceo classico, quando nel 1989 è stato ucciso. Lavorava tantissimo, a casa c’era raramente... Mia madre era una funzionaria del Comune: si è messa in pensione per prendere in mano l’azienda fino ad allora guidata da mio padre. Non ha trovato una situazione florida, si è dovuta sbracciare per fare andare avanti l’azienda mentre continuava a fare la madre: ci portava in palestra, si occupava della scuola... Anche quando nel 2004 ha denunciato una richiesta di estorsione, non è che ci ha fatto sedere sul divano e ci ha spiegato ogni dettaglio: ci ha detto cosa stava succedendo in modo generico, quasi fosse una cosa normale...».
E poi la narrazione del suo «no» al racket: «Sono andato a Trapani alla Squadra mobile e ho raccontato tutto. Come mi sento oggi? Assolutamente libero. Certo, con qualche preoccupazione ma libero...». Del suo futuro, allora, diceva così: «Stiamo costituendo a Castellammare... un’associazione antiracket ... per un nuovo percorso di cambiamento senza conflittualità». Una frase finale che era il suo modo di essere. Gentile ma determinato, come il sorriso con cui quel giorno accolse tutti.
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