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Messina Denaro e il tesoro nascosto: «Se ho qualche cosa non lo dico, sarebbe da stupidi»

«Ha dei soprannomi?» domanda il cancelliere a Matteo Messina Denaro che risponde in videocollegamento dal carcere dell’Aquila dove è detenuto dal giorno della sua cattura. «Mai, me li hanno attaccato da latitante i vari giornalisti, ma io nella mia famiglia non ho mai avuto soprannomi...» la risposta del capomafia stragista . «Ha dei beni patrimoniali? Deve dire se li ha o non li ha» lo incalza Alfredo Montalto, presidente dell’ufficio gip di Palermo che lo interroga come indagato in un processo per una tentata estorsione legata ad un terreno di contrada Zangara di Castelvetrano. «Li avevo, me li avete tolti tutti, se ho qualche cosa, non lo dico, sarebbe da stupidi. Certo che ne ho, sennò come potevo vivere fino ad ora» è la risposta di Messina Denaro che sottolinea: «Non faccio parte di nessuna associazione e quello che so di Cosa nostra lo so tramite i giornali».

Ecco i primi passi dell’interrogatorio del 16 marzo 2023 - di cui aveva dato notizia il Giornale di Sicilia il 18 marzo- di Matteo Messina Denaro: dopo quello con il procuratore Maurizio de Lucia e l’aggiunto Paolo Guido (il magistrato che ha coordinato le indagini che il 15 gennaio hanno portato alla cattura del boss latitante dal 1993), è il secondo faccia a faccia con i magistrati. Con Montalto ci sono i sostituti della Dda, Gianluca De Leo e Giovanni Antoci.

Presente anche il legale di Messina Denaro, la nipote Lorenza Guttadauro, che si rivolge a lui dandogli del lei (come prevede il codice di procedura penale).

Il terreno di cui si parla è quello di Giuseppina Passanante, figlia del defunto boss di Campobello di Mazara, Alfonso. Il padre di Messina Denaro, Francesco, lo aveva - secondo la tesi di Matteo - affidato a lui come prestanome, e dopo anni voleva rientrarne in possesso.

Nega di aver minacciato Giuseppina Passanante. Sostiene di aver solo rivendicato un diritto. Non ammette nulla il boss Matteo Messina Denaro rispondendo alle domande del gip che gli contesta il reato di estorsione nei confronti della donna. «Ognuno risponde con la propria dignità di quel che fa», dice rivendicando la legittimità delle sue azioni. “Ascolti, questo terreno è stato comprato da mio padre nel 1983. - dice - Mio padre era amico del padre della signora Passanante, che oggi è pure morto, e allora ha chiesto ad Alfonso Passanante, che conoscevo pure io, se poteva fare il favore di intestarsi questo bene, e il Passanante ha detto sì. Si intestò il bene, cioè si fece l’atto e lui conduceva le operazioni in campagna e aveva a che fare con me per i conti che dovevamo fare. Ad un tratto succede tutto quello che succede, e cioè che il tempo passa, passano gli anni, si arriva agli anni ’90, mio padre è latitante, il Passanante è in carcere. Io sono pure latitante».

«E ad un tratto so, per vie traverse, non tramite la signora Passanante, né tramite il papà che era ancoro vivo anche se in carcere - prosegue il boss - che tutti i loro beni sono stati ipotecati da alcune banche, per vicende loro che a me non interessano e nemmeno so, quindi questo terreno fu pure ipotecato, però io non dissi nulla e non feci nulla, perché lui era in carcere, quindi che dovevo dire? Andava cosi. Naturalmente la signora Passanante, in tutti questi anni di mia assenza, si tenne sempre tutto il profitto di questo terreno, e mai nessuno le chiese nulla».
Poi il boss spiega la decisione di scrivere alla donna per riavere il terreno. «Ad un tratto, negli ultimi anni, vengo a sapere che lei stava vendendo il terreno. Tra parentesi avevano l’affare concluso sotto prezzo, perché lei che cosa voleva fare, prendersi questi soldi di questo terreno, cioè lo rubava, e pagarsi il mutuo. E avrebbe pagato tutto con i miei beni. Arrivati a un dato punto, questi sono discorsi per me non onesti, - conclude - perché le persone agiscono come vogliono, ma va bene cosi, ognuno poi risponde con la propria dignità delle cose che fa, nel bene e nel male. E allora che cosa ho fatto, l’ho contattata, con una lettera, e gliel’ho firmata, non ho detto pseudonimi, firmato con Matteo Messina Denaro, perché io credevo di essere nella ragione dei fatti».

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