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Dallo 'zu Nardo a Laura, il legame antico tra i Bonafede e Messina Denaro

C’è un legame antico tra i Bonafede di Campobello di Mazara e i Messina Denaro, un rapporto strettissimo che ha spinto l’ex latitante a vivere nel paese della provincia di Trapani il suo ultimo periodo da uomo libero. E ad affidarsi totalmente alla famiglia.

Tutto comincia con ‘zu Nardo, boss di Campobello, grande alleato di don Ciccio Messina Denaro, padre di Matteo. Dopo la prima guerra di mafia, durante la quale Bonafede scelse di farsi da parte, Francesco Messina Denaro, che nutriva grande fiducia nei suoi confronti, lo nominò di nuovo «capo-famiglia». Un gesto che il padrino, che curava le ferite di Totò Riina e di Bernardo Provenzano a Tre Fontane, località vicina a Campobello, non ha mai dimenticato. Capomafia della vecchia guardia, tra i pochi a dare del tu a Riina, Leonardo Bonafede era legatissimo a Matteo Messina Denaro. «Si mette a piangere se parla di lui, una persona di 80 anni che si mette a piangere», raccontava Lorenzo Cimarosa, parente dei Messina Denaro e protagonista di una serie di rivelazioni sul clan. «Se si potesse fidare in tutta la provincia di Trapani di qualche persona, l’unica persona che si fiderebbe è Leonardo Bonafede», spiegava agli inquirenti Cimarosa, mai passato tra i ranghi dei pentiti e rimasto nel ruolo di dichiarante. E così è stato perché della rete dei fiancheggiatori del padrino facevano parte almeno cinque esponenti della famiglia Bonafede: la maestra Laura, arrestata oggi per favoreggiamento, la figlia Martina, indagata per lo stesso reato, il cugino Andrea, che ha prestato l’identità al capomafia, l’altro cugino, anche lui di nome Andrea, che recapitava al boss le ricette mediche necessarie per le terapie contro il cancro, il fratello di questi Emanuele, vivandiere del padrino.

«La famiglia Bonafede deve il suo prestigio, e prima ancora la sua sopravvivenza, alla protezione e al legame instaurato con la famiglia Messina Denaro. Rapporti, questi, che si sono riproiettati ineluttabilmente, come sempre accade nelle dinamiche mafiose, dal passato al presente, legami indissolubili che si tramandano dai padri ai figli», spiegano i pm. Ma la fedeltà assoluta al boss va oltre la famiglia, dunque oltre al sangue. Lo dimostra la storia di Salvatore Gentile, marito della Bonafede, condannato all’ergastolo per due omicidi commissionati da Matteo Messina Denaro e ritenuto uno dei suoi uomini di fiducia nel paese. Anche lui disposto a sacrificare la vita per il padrino.

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