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L'invasione di granchio blu a Marsala, il biologo Andaloro: «Bisogna favorirne il consumo e farlo diventare una risorsa»

«Il suo arrivo sulle nostre coste non è poi così recente. La prima segnalazione in Sicilia risale al 1948»

Granchio blu

«Fare diventare il problema una risorsa». Franco Andaloro, una vita da ricercatore all’Ispra e nella Stazione zoologica «Anton Dohrn» di Napoli e oggi responsabile per la Sicilia del cluster tecnologico nazionale «Blu italian growth», non ha dubbi: «L’invasione del granchio blu nei nostri mari si combatte col consumo sulle tavole». Questa specie aliena ha invaso le acque dello Stagnone di Marsala. Pian piano ha modificato le abitudini di bagnanti e residenti. Una bimba è rimasta ferita.

«Il suo arrivo sulle nostre coste - dice Andaloro - non è poi così recente. La prima segnalazione in Sicilia risale al 1948 e, in quella occasione, la linea di introduzione fu individuata nelle acque di zavorra delle navi scaricate nel porto di destinazione. Questa è stata la causa principale del suo ingresso nel “mare nostrum”. Nel 2008 il granchio blu è stato segnalato ancora in svariati punti delle coste del Mediterraneo, anche quelle della sponda sud e poi dal 2019 è stato in continua crescita, al punto tale che oggi registriamo enormi quantità. E, fortunatamente, si inizia a pescarlo e a venderlo…». Sì, l'impiego in cucina è considerato positivo. «Commercializzarlo - spiega Andaloro - è una delle misure più importanti per mitigare le quantità presenti e, allo stesso tempo, garantire un ritorno economico. Le linee guida internazionali vertono infatti su interventi di prevenzione. Quindi, migliore gestione delle acque di zavorra, controllo di inserimento di specie aliene in acquacoltura e campagne informative nei confronti del consumatore finale sull’uso commestibile del granchio blu».

In questi anni si è registrato un aumento vertiginoso della presenza del granchio blu. «L’esplosione - spiega l'esperto - è legata a più fattori. Da un lato alla mancanza di predatori e competitori (come, ad esempio, polpi e tartarughe) e dall’altro la disponibilità di spazi non occupati di cibo per il granchio». Cosa fare? «Dobbiamo con prudenza pensare anche a mangiare pesci e crostacei di specie aliene. È successo nel 2000, ad esempio, coi pesci flauto e coniglio. Oggi facciamo i conti col granchio blu e, quindi, dobbiamo valorizzarlo attraverso i canali che abbiamo a disposizione. Sul versante della ricerca non ci si ferma: è recente la realizzazione di un progetto transfrontaliero Italia-Tunisia che si chiama “Blu Adapt” proprio con uno studio sul granchio blu. La via è quella della convivenza anche se è opportuno che l’uomo faccia qualcosa per frenare il cambiamento climatico. Ecco, quello dipende da noi e dalle nostre scelte».

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