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Castelvetrano, caso Giambalvo: Fava in Municipio

CASTELVETRANO. È diventato un caso politico il ritorno nel Consiglio comunale di Castelvetrano, lo scorso 25 gennaio, di Calogero «Lillo» Giambalvo, finito in manette nel novembre 2014 nell'operazione antimafia «Eden II» (15 gli arrestati) e assolto in primo grado lo scorso dicembre dall'accusa di essere un fiancheggiatore di Matteo Messina Denaro, suo concittadino, latitante dal '93.

Intercettato durante le indagini, il consigliere si diceva fedele al boss e si augurava la morte del figlio di un pentito. La questione non è sfuggita al vicepresidente nazionale dell'Antimafia, Claudio Fava, che oggi andrà in municipio, dove alle 19 è prevista una seduta d'aula, per ribadire ai consiglieri l'urgenza di un atto politico collettivo: le dimissioni.

«È infamante - dice Fava, sostenuto da Libera - che i cittadini di Castelvetrano siano rappresentati da persone come Giambalvo». Il parlamentare chiederà ai consiglieri che «giudicano indecente sedere in consiglio vicino a questo personaggio, di comportarsi coerentemente e dunque di dimettersi. La legge è dalla parte di Giambalvo - l'assoluzione ha costretto il prefetto a reintegrarlo nel suo posto - ma non ci si può rassegnare».

Nel 2012 Giambalvo era risultato il primo dei non eletti nella lista di Fli nella quale era candidato come indipendente. Nel luglio 2014 sostituì un consigliere chiamato a far parte della giunta; in quell'occasione dichiarò di aderire al movimento Articolo 4, fondato dall'allora parlamentare regionale Lino Leanza (ex Mpa), poi deceduto.

Tornato in Consiglio, dopo il processo, alla prima seduta Giambalvo spiegò che «l'accusa era fondata su intercettazioni e chiacchiere equivocate in sede di trascrizione, come avrò modo di chiarire. Tengo a precisare che la stessa Procura in sede di discussione ha chiesto l'assoluzione dai capi di imputazione più gravi. Sin da ora prendo le distanze da quanto è stato detto contro di me sui media perchè ho sempre sostenuto e sosterrò qualsiasi progetto di legalità».

Quella stessa sera, in tre diversi documenti, il Consiglio manifestò fiducia nella giustizia, sottolineando che le sentenze non si commentano ma si osservano e prendendo le distanze dagli estimatori della mafia e da quanti inneggiano al latitante Messina Denaro.

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