
«Perché liberarsi da Giovanni Gentile? Perché per il collettivo era il padre da abbattere, quasi un rito obbligato eliminarlo anche fisicamente, per passare a una nuova lettura. Un patricidio che ancora oggi, a 80 anni di distanza, ancora perdura con l’ostracismo nei confronti di Gentile come filosofo del regime fascista, e questo è inaccettabile». Così lo scrittore Marcello Veneziani è intervenuto nel dibattito sull’eredità e le critiche su Gentile e la filosofia del Novecento, al teatro Selinus di Castelvetrano, a conclusione della tre giorni dedicate al filosofo di origini castelvetranesi, su iniziativa del Comune, col patrocinio della Regione siciliana e dell’Assemblea regionale e il coordinamento scientifico di Francesco Saverio Calcara e Andrea Le Moli.
Insieme a Veneziani sul palco lo storico Enrico Galli Della Loggia che ha ribadito come «l’uccisione di Gentile corrispose a un momento strategico del partito comunista, che era quello di portare al massimo lo scontro tra fascismo e antifascismo, produrre resistenza attraverso un’azione mirata di uccisioni personali, in assenza di una vera lotta partigiana». Sull’uccisione di Gentile, sollecitato da una domanda del sindaco di Castelvetrano Giovanni Lentini, Veneziani ha aggiunto: «Non ho mai creduto a una pista internazionale, l’idea di assassinarlo è stata tutta italiana, nata in una cultura politico-intellettuale di quel tempo».
Veneziani ha ribadito l’importanza del pensiero comunitario in «Genesi e struttura della società» di Gentile: «In un’epoca dove viviamo tanto l’individualismo, quel pensiero comunitario è da riprendere - ha detto - proprio quello è il tratto della filosofia pratica di Gentile». Veneziani ha, altresì, parlato di Gentile oggi «inattuale, non tanto per la sua statura intellettuale ma, soprattutto, per la pochezza dei nostri tempi». Secondo Ernesto Galli Della Loggia «non esiste più una tradizione praticabile di Gentile».
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