La basilica paleocristiana di San Miceli, in seguito al ritrovamento di alcune monete d’oro, fu scavata dal Salinas nel 1895 che vi individuò tre pavimenti musivi sovrapposti relativi a tre diverse fasi di vita dell’edificio. Si trova a circa due chilometri dal centro storico di Salemi, in prossimità del ruscello Giammuzzello, anticamente detto Vadu, dall’arabo wadi (fiume). Squisitamente arabo è anche il nome della città: Salem, salubre e sicura, che è anche un bellissimo augurio e saluto di pace: salam. Nelle lingue semitiche il sistema delle tre consonanti, in questo caso S L M, cambiando vocali non scritte, genera parole diverse tra loro legate semanticamente. Araba è l’impronta ancora visibile nella struttura urbanistica del centro storico della città e nei nomi di alcuni rioni e contrade, tra cui il quartiere Ràbato, che in origine era un sobborgo al di là della cinta muraria, mentre a monte del quartiere Carmine c’è l’area della Giudecca dove abitavano gli ebrei. Soprattutto nella Sicilia occidentale, gli Arabi introdussero nuove coltivazioni e sistemi di irrigazione, di cui rimangono termini come senia e gebbia, e il concetto stesso di «paesaggio giardino». Grazie alle indagini archeologiche degli ultimi anni è stato possibile datare tra il IV e il VI sec. d.C. l’intero complesso di San Miceli che, oltre la chiesa, comprendeva il battistero che si trovava dietro l’abside, e anche una stazione viaria forse da identificarsi con quella indicata nell’Itinerarium Antonini fra Lilibeo/Marsala e Segesta. Le epigrafi votive presenti nei mosaici della basilica, per vari dettagli mostrano una imperfetta conoscenza del greco da parte del mosaicista. Vi è nominato Convuldìo, cioè Kobouldeos, trascrizione greca del latino Quodvultdeus (Ciò che vuole Dio), nome molto diffuso nelle comunità cristiane dell’Africa settentrionale, che testimonia che gruppi di africani in epoca tardo romana erano diffusi nella Sicilia occidentale e probabilmente contribuirono alla diffusione del cristianesimo. In un’altra iscrizione si legge: «Ricordati o Signore del tuo servo Sapricio» dal greco Sapròs (putrido), che è uno dei nomi dispregiativi assunti per umiltà dai primi cristiani: entrambi i nomi testimoniano la fervente fede di queste comunità. Sono state scavate circa 50 tombe accanto alla basilica, dove il ritrovamento di numerose monete potrebbe indicare la persistenza del rito pagano dell’obolo a Caronte. Alcuni oggetti di pregio, soprattutto monili e vetri, facenti parte del corredo funebre di alcune sepolture, si trovano oggi esposti nel Museo Archeologico di Salemi. La basilica di San Miceli si trovava presumibilmente lungo una variante interna della Via Valeria romana e il borgo rurale (vicus), abitato probabilmente da circa 300 cristiani, deve avere acquistato rilevanza durante il tardo impero; da documenti storici sappiamo che il luogo di culto era ancora attivo nel 1621. Ad appena qualche chilometro di distanza da Salemi, sulla collina di Mokarta, è stata trovata una grande necropoli con un centinaio di tombe a grotticella artificiale e un villaggio capannicolo dell’Età del Bronzo, le cui unità abitative hanno la peculiarità di avere l’ingresso a forcipe. Dall’alto sembra una collana di anelli, con 15 abitazioni nel sito dove Sebastiano Tusa diresse uno scavo nel 1994. «Il villaggio venne abbandonato repentinamente intorno al X sec. a.C. – racconta l’archeologa Mariella Spagnolo - giacché alcune capanne mostrano chiari segni di incendio, probabilmente a causa dell’invasione di gruppi di etnia elima. Ne è testimonianza il rinvenimento, nei pressi dell’ingresso di una capanna, dello scheletro di una giovane fanciulla rimasta sepolta sotto le macerie e probabilmente in fuga con un vaso fra le mani». A poca distanza, un altro sito archeologico sul monte Polizzo testimonia la presenza di un abitato di etnia elima. Nel 2000 le università di Stanford, Goteborg e Oslo vi hanno ripreso gli scavi portando alla luce una serie di strutture appartenenti ad abitazioni e a edifici sacri, tra cui una a pianta circolare databile al VI sec. a.C. Il rinvenimento di oltre 30000 frammenti di corna di cervo testimonia la consistente presenza di questo animale nei rituali sacri. Il luogo fu interessato da una frequentazione in età araba e venne definitivamente abbandonato intorno al XII sec. d.C. in concomitanza con l’arrivo dei Normanni in Sicilia. Il Complesso di San Miceli può essere visitato su prenotazione contattando il Parco Archeologico di Segesta da cui fa parte: Tel. +39 0924 952356 parco.archeo.segesta@regione.sicilia.it L’accesso all’area archeologica di Mokarta, da taluni chiamata la “Pompei sikana”, è libero e ci sono indicazioni dalla strada che collega Salemi con Marsala. La zona di Monte Polizzo invece è stata gravemente danneggiata dagli incendi dell’estate scorsa e la Forestale al momento ne scoraggia la visita a causa della possibile caduta di alberi. Salemi sorge, si ipotizza, sul sito dell’antica Alicia, una delle città elime di Sicilia, dato supportato dal rinvenimento, nel centro storico, di strutture del periodo greco e romano. Un grande portone ad arco a sesto acuto apre l’accesso al Castello del XII sec. di architettura normanno-sveva, edificato probabilmente sui resti di una precedente fortezza saracena. Di quattro torri ne sopravvivono tre, una circolare più alta delle altre due quadrate, che comunicano fra loro attraverso camminamenti incassati nello spessore murario. Accanto al Castello apre la sua vuota abside l’ex chiesa madre dedicata a San Nicola di Bari, patrono della città, distrutta dal terremoto del 1968, di cui rimane lo schema d’impianto. Colpisce nel centro storico la ricercata decorazione dei portali e degli attuna, reggimensole realizzati con la pietra campanedda che con il suo colore abbellisce le strade. È un'arenaria calcarea a composizione granulare fine e compatta, dal colore caldo e uniforme, così chiamata perché quando lo scalpellino la batte suona come una campanella, e iscritta nel Registro delle Eredità Immateriali dell’Unesco dal 2012. Due coppie di colonne tortili marcano l’ingresso al complesso monumentale dell’ex Collegio dei Gesuiti, oggi Museo Civico che comprende tre sezioni: arte sacra, archeologico e sala risorgimentale. Il Museo della Mafia ha purtroppo perso i magnifici dipinti dell’artista belga Patrick Ysebaert che, insieme alla moglie, risiedette a Salemi diversi anni: dopo la sua morte la famiglia ha ritenuto opportuno portare le sue opere in Belgio. Nel 1282 Salemi ebbe un ruolo abbastanza importante nei Vespri Siciliani e in seguito aiutò Pietro d’Aragona contro gli angioini. Molti secoli più tardi fu protagonista nella storia dell’Unità d’Italia. Qui Garibaldi nel 1860 si autoproclamò dittatore in nome di Vittorio Emanuele II e nominò Salemi prima capitale d’Italia, nel luogo che conserva il nome di Piazza Dittatura. Il Museo Civico di Salemi è aperto tutti i giorni tranne il lunedì nei seguenti orari: 10.30-13 16-19 . Tel. 338 3620329.