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“Il ricordo che se ne ha”, il romanzo di Mariza D'Anna approda in teatro a Trapani

Debutta a Trapani, in prima nazionale, la trasposizione teatrale del romanzo “Il ricordo che se ne ha”. Lo spettacolo è stato prodotto dall’Ente Luglio Musicale Trapanese. La formula è quella dell’azione scenica per soprano, attrice ed ensemble. Il testo è firmato da Mariza D’Anna e Guido Barbieri. Le musiche sono di Carla Magnan e Carla Rebora. Regia di Maria Paola Viano. Soprano Ana Spasic. Sul palco l’attrice Clara Galante. Al piano il duo Paola Biondo e Debora Brunialti. Alla viola, Paolo Fumagalli. Polifiatista e percussioni, Edmondo Romano. La storia è tratta dall’omonimo romanzo della giornalista Mariza D’Anna (Màrgana Edizioni). Dopo la tappa trapanese la tournée teatrale si snoderà tra le principali città del nord Italia per approdare in Sicilia la prossima estate.

Questa storia è un canto nella solitudine che giunge dal mare. Il portato musicale è la voce di una tata libica che intona litanie arabe. La bizzarìa è che questa storia antica ha preso forma grazie all’utilizzo di diavolerie digitali internettiane. Autori e musicisti hanno strutturato utilizzando la piattaforma Zoom l’intero spettacolo nel corso del lungo lookdown dell’emergenza Covid. L’escamotage tecnologico ha consentito di superare le difficoltà logistiche legate alla distanza che separa i vari protagonisti dello spettacolo. L’altra stranezza è quella che vede accomunati tutti, autori e interpreti, da un rapporto personale con la Sicilia e la città di Genova. Il drammaturgo e critico musicale Guido Barbieri che è la voce narrante, è stato docente di Storia della musica al conservatorio di Trapani. Genovesi i componenti del duo pianistico Paola Biondi e Debora Bruniatti. Stessa sorte dell’autrice, la giornalista Mariza D’Anna, con una vita sospesa tra Genova e Trapani.

Ci sono storie che nascono per trovare asilo tra le pagine di un libro e libri che nascono per trovare forma compiuta sul palcoscenico di un teatro. Come è accaduto a questa vicenda narrata da Mariza D’Anna. Storie e personaggi che, per decenni, sono rimasti confinati nel buio di una scatola di ricordi sotto forma di documenti e fotografie. La protagonista dello spettacolo teatrale è Anna, una giornalista che lavora in Sicilia. Ha adottato una bambina che arriva dal nord della Bulgaria. Quando la figlia Alexandra compie sedici anni, Anna decide di raccontare la storia della sua famiglia. Un epopea che abbraccia tre generazioni. La piccola Alexandra non compare mai in scena, ma è evocata in video dalle voci narranti. La magia del palcoscenico restituisce pienamente il fascino di questa storia esotica. Il fondale narrativo è gravido di rimandi africani. La Libia dei colonizzatori italiani. Come il bisnonno Carlo che costruisce a ottanta chilometri da Tripoli l’azienda agricola Biar Magi. Un continuo rimando alla magia del Mediterraneo delle due sponde, quella libica e quella siciliana. Approdi e ripari evocati dai suoni di una ninna nanna africana e fiabe siciliane. Sono gli incantamenti e i canti nella solitudine di una bambina sospesa tra città di mare. Questo il dettato esplicito di questa storia che viene dal mare, come il nome dell’autrice. Sono immagini sognanti di caldi afosi africani, afrori dolciastri che si sprigionano dal suk, vocìo di bambini che si inseguono in un baglio. La voce suadente del soprano Ana Spasic è evocazione di lontananza, di un altrove di sentimenti. La voce fuori campo ripercorre la vicenda che muove dal 1911 fino alla cacciata degli italiani dalla Libia nel 1970. Una storia di sconfitti e vinti, vittime di illusioni. La poesia dei rimandi è anche un continuo rimorso. Il rimorso degli italiani che sterminarono colpevolmente migliaia di libici e il rimpianto dei profughi non libici né italiani, uomini e donne senza patria. La storia che giunge dal mare si chiude alla fine dello spettacolo con una sovrapposizione in video, quella di Alexandra, figlia della protagonista Anna, con l’immagine dell’ennesimo sbarco di extracomunitari in Sicilia. Ancora disperazioni e speranze che giungono dalla costa libica intonando canti nella solitudine.

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