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"Gli uccelli", prima nazionale al Calatafimi Segesta Festival

Una prima nazionale al Teatro Antico di Segesta.

Cinzia Maccagnano dirige “Gli Uccelli – Nubicucùlia, la città impossibile”, di Aristofane, domani e sabato alle 19.15, per il cartellone del Calatafimi Segesta Festival – Dionisiache 2018, con la direzione artistica di Nicasio Anzelmo.

Due ateniesi, Pisetero ed Evelpide, lasciano la loro città e se ne vanno in cerca di un posto dove trascorrere la vita senza grattacapi, lontano dai meccanismi troppo complicati della vita sociale e istituzionale di Atene. In un immaginario luogo tra terra e cielo, i due ateniesi trovano un grande sogno utopico: una città che rinnovi la perduta età dell'oro, quando gli uccelli, più antichi di Crono e dei Titani, padroni del tempo, erano sovrani di una patria dolce e materna, senza leggi né violenza. Ma l’utopia dura poco, perché Pisetero, via via, ristabilizza nella nuova polis l’ordine del nomos a cui si era ribellato, trasformando l'aerea Nubicucùlia in un doppio del mondo reale, dove gli uccelli dissidenti vengono trasformati in un arrosto succulento, mentre quelli accondiscendenti si mettono al totale servizio degli uomini.

L’autocompiacimento di Pisetero lo porta a diventare anch’egli ipertrofico, come la sua Atene dalle mire espansionistiche, e così, non pago di aver assunto il controllo di Nubicucùlia, vuole costringere alla sottomissione persino gli dèi, ricattandoli e poi corrompendoli. Irrimediabilmente sedotto dal potere, l’uomo cadrà negli stessi vizi da cui è fuggito. Al termine di una parata tutta musica e balletti, metterà in gabbia i desideri degli altri, costruirà mura a garanzia del proprio Io eroico, facendosi beffe persino degli dèi. L’opera di Aristofane si conclude con la festa per le nozze di Pisetero con l’amante di Zeus, celebrando la vittoria del più furbo, con una chiassosa “tarantella”, che tenta di cancellare, nascondendolo, il malessere. Ma ad uno sguardo più distante si può cogliere invece come Aristofane indichi la banalità del male, la fragilità delle società che si lasciano capeggiare dalla bramosia di individui frustrati e prepotenti che un poco di coraggio potrebbe scalzare con facilità. Perciò, forse, possiamo immaginare un usignolo, una voce fuori dal coro, che, volando in alto sullo sfumare della festa, possa cantare la nascita di una città ideale, forse ancora invisibile, come quelle di Calvino, ma sempre possibile.

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