Due condanne e una assoluzione. Si chiude così il processo di primo grado in abbreviato davanti al gup di Palermo, giudice Marco Gaeta, che vedeva come imputati l'architetto Massimo Gentile, il tecnico di radiologia dell'ospedale Abele Ajello di Mazara, Cosimo Leone, e il bracciante agricolo Leonardo Gulotta. Condannato a dieci anni Massimo Gentile ed a otto anni Cosimo Leone. Assolto invece il bracciante agricolo Leonardo Gulotta.
I tre imputati erano accusati di avere avuto un ruolo nella latitanza di Matteo Messina Denaro. Le accuse: Gentile è stato condannato per associazione mafiosa (è caduta l’aggravante del reimpiego dei soldi di provenienza illecita), mentre per Leone il reato è stato derubricato in concorso esterno. Per entrambi la Procura aveva chiesto 12 anni di carcere per associazione mafiosa. Gulotta (l’unico a piede libero) rispondeva di favoreggiamento aggravato per lui la procura aveva chiesto 6 anni e 8 mesi.
Secondo l'accusa Gentile avrebbe prestato la sua identità a Messina Denaro consentendogli di acquistare una macchina, una Fiat 500 e una moto. Gentile ha negato di esserne a conoscenza, ma ieri i pubblici ministeri hanno depositato le cartelle esattoriali che gli sono state notificate per i bolli non pagati. Secondo l’accusa, una ulteriore prova che non poteva non sapere.
Al momento del suo arresto l'architetto era responsabile dei procedimenti del servizio Lavori pubblici del Comune di Limbiate, in provincia di Monza-Brianza. Per quanto riguarda il tecnico di radiologia dell’ospedale Abele Ajello Cosimo Leone, questi avrebbe avuto un ruolo nella trafila sanitaria di Messina Denaro, visitato all’ospedale di Mazara del Vallo il 6 novembre e operato pochi giorni dopo.
Il boss avrebbe potuto contare sull’appoggio di Leone che gli avrebbe fornito anche un’utenza telefonica «pulita». Gulotta, invece, avrebbe messo a disposizione del latitante il suo numero di cellulare in occasione dell’acquisto di una macchina. Ma il giudice lo ha scagionato.
Intanto mercoledì i pm della Procura di Palermo che coordinano le indagini sulla ricerca della rete di fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro, hanno ascoltato l'insegnante di matematica di Campobello di Mazara che cinque giorni dopo la cattura del boss si presentò spontaneamente dai carabinieri raccontando di avere avuto una relazione con l'uomo comparso in tv ma che si era presentato come Francesco Salsi, anestesista in pensione. La donna è indagata per favoreggiamento aggravato. Per i magistrati non sarebbe stata però solo amante del boss, conosceva chi era nella realtà il dott. Salsi, e probabilmente avrebbe avuto un ruolo nella latitanza di Messina Denaro.
Nei pizzini rinvenuti nel covo di vicolo San Nicola a Campobello di Mazara, ultima dimora del latitante, l'insegnante viene indicata come «Sbrighisi» e «Handicap», ma a tradirla ci sarebbero anche alcuni particolari emersi nelle lettere che la maestra Laura Bonafede (amante del boss) inviava a Messina Denaro e che dunque sapeva della frequentazione tra i due. E di quella relazione era a conoscenza anche Lorena Lanceri, la vivandiera e amante di Messina Denaro, pure lei condannata, che indicava la professoressa come « gatta morta».
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