Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Castelvetrano, anfore romane sequestrate a un trafficante internazionale di opere d’arte legato a Messina Denaro

Becchina, 85 anni, era stato già accusato in passato di legami con la mafia, attestati da diversi collaboratori di giustizia

Anfore di epoca tardo romana e un basamento di marmo riproducente scene mitologiche scolpite su tutti i lati di età ellenistico-romana: sono i beni archeologici di grande valore sequestrati dalla Dia a Giovanni Franco Becchina, 85 anni, di Castelvetrano, un trafficante internazionale di opere d’arte collegato al defunto boss Matteo Messina Denaro. Il decreto è stato emesso dal Tribunale di Trapani nei confronti del trafficante a cui erano già stati confiscati numerosi beni per i suoi legami con Cosa nostra e per gli affari con la famiglia mafiosa di Castelvetrano, nel Trapanese. A carico del destinatario del provvedimento sono emersi molti indizi riguardo alla sua pericolosità per il suo ruolo di trafficante internazionale di reperti archeologici.

L’uomo era stato già accusato in passato di legami con la mafia, attestati da diversi collaboratori di giustizia. Il sequestro dei beni archeologici, emesso a fronte di una proposta a firma congiunta del direttore della Dia e del Procuratore della Repubblica di Palermo, ricalca i precedenti provvedimenti adottati dopo aver constatato la sproporzione tra le fonti di reddito e gli impieghi del nucleo familiari del destinatario della misura. Le opere d’arte saranno affidate per la custodia alla Soprintendenza dei Beni culturali e ambientali al fine di renderle nuovamente fruibili alla collettività.

«Emergono numerosi indizi riguardo alla sua pericolosità, caratterizzata dall’essere un soggetto che trae il proprio sostentamento, dalla propria attività di trafficante internazionale di reperti archeologici», hanno scritto i giudici delle misure di prevenzione, accogliendo la proposta di sequestro della Procura di Palermo.

Ma le opere acquisite dagli investigatori sarebbero solo una parte del tesoro di Becchina che, commerciando in pezzi di archeologia, avrebbe accumulato una fortuna. Il patrimonio del commerciante d’arte sarebbe enorme: milioni di euro che neppure gli investigatori della Dia sono riusciti a quantificare.

«Pur non riportando ad oggi condanne definitive per il reato di associazione mafiosa, le sue frequentazioni, i suoi traffici e i rapporti diretti con gli ambienti della criminalità organizzata di tipo mafioso castelvetranese rendono infatti, attuale e rilevante il suo grado di pericolosità qualificata», scrissero nel primo provvedimento di sequestro. Sotto sigilli allora finirono aziende, terreni, conti bancari, automezzi, e immobili, tra cui un’ala del castello Bellumvider realizzato nel 1239 per accogliere Federico II, poi diventato Palazzo ducale dei principi Pignatelli Aragona.

A carico di Becchina, oltre a intercettazioni e indagini patrimoniali ci sono le rivelazioni di diversi pentiti e del dichiarante Giuseppe Grigoli, piccolo commerciante che, secondo gli inquirenti, riciclando i soldi di Cosa nostra, è diventato il re dei supermercati Despar della Sicilia occidentale. Grigoli, condannato a 12 anni per mafia nel 2012, non è ufficialmente un collaboratore di giustizia, ma nel tempo ha fornito diversi spunti investigativi sul clan di Matteo Messina Denaro.

«Gianfranco Becchina doveva dare queste cose e quindi dovevano andare a finire a Panicola per poi arrivare a chiddu, a Matteo Messina Denaro», ha raccontato nel 2016 Grigoli ai pm. Oggi il nuovo colpo al patrimonio del commerciante d’arte che fu indagato anche per un tentativo di furto del Satiro Danzante, statua in bronzo del IV secolo a.C ritrovata nel canale di Sicilia nel marzo '98 dall’equipaggio del peschereccio mazarese Capitan Ciccio . Secondo il pentito Concetto Mariano, Becchina avrebbe commissionato il colpo proprio agli uomini di Messina Denaro. Ma il piano fallì. Il commando sarebbe dovuto entrare in azione mentre la statua, a pochi giorni dal suo ritrovamento, nel 1998, si trovava nei locali del comune di Mazara del Vallo.

«Abbiamo chi ci darà le chiavi della stanza in cui il satiro è custodito», fu detto al collaboratore. Ma poi qualcosa andò storto. Chi avrebbe dovuto consentire ai boss di entrare indisturbati in Municipio si tirò indietro. E la mafia dovette ricorrere ad un piano alternativo, il furto o, addirittura, una rapina. Fu così che gli uomini del superlatitante Messina Denaro passarono alle maniere forti, decisero di irrompere in Comune armati di tutto punto. Qualche giorno prima della data scelta per il colpo le misure di sorveglianza attorno alla statua vennero improvvisamente rafforzate. E ai boss non rimase che fare dietro front.

La replica di Becchina

riceviamo e pubblichiamo

«Debbo constatare con mio grande disappunto che i notiziari delle varie reti televisive, i vari social ed alcune testate giornalistiche, riportano con grande risalto e clamore la notizia di un importante sequestro di alcuni reperti archeologici di valore eseguito dalla Dia di Trapani presso la mia abitazione. La notizia per risultare più interessante è stata arricchita con l'ormai consueta favola della mia vicinanza a Matteo Messina Denaro. Pur essendo stata acclarata come circostanza “inesistente“ nei pronunciamenti dell’autorità giudiziaria che ha archiviato queste fantasie in tempi brevissimi. La vicenda del 13 giugno 2024 non è avvenuta nei termini pubblicizzati, e pertanto per amore di verità va riportata in modo corretto. Come ritengo ormai sia abbastanza noto, nel novembre del 2017 il tribunale delle misure di prevenzione di Trapani ha promosso un procedimento nei miei confronti disponendo il sequestro (provvisorio) dei miei beni, finalizzato, in caso di condanna, alla confisca. Il procedimento è ancora in corso. Tra i beni, all’interno della mia abitazione nel 2017, gli agenti nell’effettuare il sequestro preventivo hanno annotato alcuni reperti archeologici e precisamente: un basamento in marmo di forma triangolare raffigurante una scena mitologica scolpita sul lato principale, nonché tre anfore con concrezioni marine. Tutti reperti rimasti nello stesso posto dove in quell’anno furono visionati dai funzionari dello Stato. Reperti, quindi, di legittima provenienza acquistati all’estero, importati e sdoganati alcuni decenni prima, presso gli uffici della dogana di Marsala con l’autorizzazione della soprintendenza ai Beni culturali di Trapani. La stessa autorità giudiziaria, a fronte della documentazione dei reperti prodotta all’epoca ha riconosciuto la legittimità della mia proprietà. Intanto, sorprendentemente, a distanza di circa sette anni, con evidente ripensamento, la Dia di Trapani ha proceduto ad asportare i detti beni archeologici dalla mia abitazione, dove già si trovavano nel 2017, trasferendoli presso i magazzini della soprintendenza di Trapani non perché di provenienza illecita ma in quanto beni mobili di mia proprietà suscettibili di una custodia ufficiale. Pertanto ogni riferimento a sequestro di beni archeologici detenuti illegalmente è falso e fuorviante, come altrettanto falso è ogni riferimento a Matteo Messina Denaro. Persona con la quale non ho mai avuto rapporti di alcun genere, in Italia e all’estero, tantomeno telefonici come falsamente si è voluto sostenere. Sempre al riguardo di Messina Denaro tengo a precisare che in occasione del mio rientro definitivo dalla Svizzera Messina Denaro era latitante da qualche anno».

Tag:

Caricamento commenti

Commenta la notizia