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Il blitz contro la cosca di Salemi: nella rete anche due fratelli palermitani coinvolti nel tentativo di riciclare il denaro sporco

Dall'inchiesta viene fuori una mafia che ancora una volta si conferma «votata» più a movimentare il denaro che a sparare;

È una fotografia già vista quella offerta dall’ultima operazione antimafia portata a termine ieri mattina (16 aprile) dai carabinieri di Trapani, coadiuvati dai colleghi di Palermo. Una mafia che ancora una volta si conferma «votata» più a movimentare «soldi sporchi» che a sparare; soldi che vengono ripuliti attraverso corruzione e turbative d’asta. Una mafia che controlla appalti e si occupa di energia. Insomma, è la mafia di Matteo Messina Denaro, quella che ancora una volta emerge. Al centro di questa indagine degli investigatori dell’Arma, coordinati dalla Dda di Palermo, il controllo su appalti per le forniture di energia elettrica sull’isola di Favignana e il tentativo di acquisire il controllo di aziende commerciali pulite, ma anche di quelle confiscate, come il deposito ex Despar di Castelvetrano.

Indagati e accuse

Sono 11 le persone raggiunte da misure cautelari disposte dal gip del Tribunale di Palermo: sei in carcere, cinque ai domiciliari. Altre 12 persone sono state raggiunte da avvisi di garanzia. L’operazione ha riguardato le province di Trapani, Palermo, Como e Rimini. Ad operare i militari del Nucleo Investigativo di Trapani e di Palermo. Agli indagati sono stati contestati i reati di associazione mafiosa, corruzione, turbativa d’asta, trasferimento fraudolento di valori, ricettazione e autoriciclaggio.

La famiglia mafiosa di Salemi

Al centro delle indagini la famiglia mafiosa di Salemi, cosca di spicco di Cosa nostra trapanese. Accertato dai carabinieri che Cosa nostra aveva messo le mani sulla gara, indetta dalla società di pubblico servizio che gestisce la rete e l’erogazione dell’energia elettrica a Favignana, appalto bandito per la realizzazione di quattro linee di distribuzione in media tensione e due cabine di trasformazione di media/bassa tensione. Ad essere favoriti due imprenditori mazaresi. Scoperto anche il pagamento di tangenti da parte di due imprenditori campobellesi per essere incaricati del trasporto del carburante necessario per il funzionamento della centrale termoelettrica di Favignana. Poi c’è l’affare che ha visto insieme mafia trapanese e palermitana e alcuni imprenditori. Per il grande affare c’era già pronta una società, ufficialmente intestata a insospettabili. Un gruppo in grado di acquisire 12 supermercati a marchio Coop, dalla «Coop Alleanza 3.0», titolari dei supermercati Coop in Sicilia che aveva deciso di cedere. Tentativo che però fallì. Il business della grande distribuzione rimane una tradizione della mafia trapanese, che si tramanda tra i sodali di Matteo Messina Denaro.

I due imprenditori palermitani

Indagati sono due imprenditori palermitani, intestatari di quote di una società di capitali appositamente costituita per eludere l’applicazione della normativa di prevenzione patrimoniale ed agevolare l’impiego di denaro sporco per tentare l’acquisizione di numerosi supermercati nelle province della Sicilia occidentale. I fratelli Leonardo e Francesco Paolo Palmeri sono finiti in carcere. Intercettati dai carabinieri, ribadivano ai loro interlocutori che «l’acquisto dei supermercati era frutto di un preciso accordo che avevano concluso con gli esponenti mafiosi dei territori interessati». Avevano ottenuto una approvazione preventiva da «soggetti in grado di garantire l’apertura senza problemi di ogni punto vendita».

Il denaro da fare rientrare

Arrestati anche due personaggi vicini al boss Matteo Messina Denaro. I salemitani Salvatore Angelo (in alto nel riquadro), 75 anni (ai domiciliari), e suo figlio Andrea 45 anni (in carcere). Entrambi coinvolti nell’acquisto dei supermercati Coop. Salvatore Angelo, dopo 13 anni di carcere, tornato libero nel 2019, si è rimesso al servizio di Cosa nostra, per gestire affari e denaro. Acquisendo una nuova competenza, era diventato uomo di collegamento con la ‘ndragheta degli Strangio, in particolare con Paolo Nirto, marito di Angela Strangio. Angelo e Nirto si erano conosciuti in carcere, da lì era nato un accordo, ovvero il recupero di un tesoro milionario depositato in una filiale di Francoforte della Deutsche Bank. Una operazione che ha visto muoversi i mafiosi palermitani estromessi da Riina. I carabinieri intercettano tutte le fasi del ritorno del denaro nelle mani dei vecchi boss palermitani. Dodici milioni di euro trasferiti dalla Deutsche Bank ad una filiale Hsbc, nella stessa città tedesca di Francoforte.  Ma di denaro in questa indagine non c’è solo questo. Gli investigatori intercettano altre due operazioni, da 4,9 e 38 milioni, soldi da fare tornare in Italia attraverso una rete di imprenditori, con terminali in Irlanda, Polonia e Spagna. Vengono riprese e intercettate le riunioni fra Palermo e Salemi.

Il ritorno dei vecchi boss

I vecchi mafiosi tornati a comandare sarebbero Michele Micalizzi e Salvatore Marsalone. Il primo è genero di Saro Riccobono, boss del narcotraffico con gli Usa fatto uccidere da Riina nel novembre 1982, nella stessa cena dove venne strangolato Totò Minore, anche lui avversario, come Riccobono, di Riina. L’indagine conferma quindi la rinnovata alleanza tra mafia e ‘ndrangheta. E tra i soldi da da riciclare, il tesoretto nascosto, frutto dei guadagni illeciti di Calogero John Luppino, di Campobello di Mazara, arrestato nell’operazione «Mafia Bet», il cosiddetto re delle scommesse on line clandestine, che operava sotto il controllo del boss Matteo Messina Denaro. La casa di Luppino era a pochi metri da quella dell’allora latitante a Campobello di Mazara.

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