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L'invito dei pm a Messina Denaro a vuotare il sacco: «Parlare? Mai dire mai. Ma su Falcone è riduttivo dire che lo hanno ucciso per il maxi processo»

Depositati i verbali dell'interrogatorio dell'ex padrino di Castelvetrano all’udienza preliminare a carico della sua amante storica, Laura Bonafede

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«Non sono interessato, poi nella vita mai dire mai intendiamoci. Io non sono stato mai un assolutista nel senso che non è che perché dico una cosa sarà sempre quella, io nella mia vita ho cambiato tante volte idea, però con delle basi solide». È il 7 luglio del 2023 e Matteo Messina Denaro, consapevole di essere alla fine della vita - morirà due mesi dopo - apre uno spiraglio e risponde così al procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido che lo invita a contribuire «a ricostruire dei pezzetti di verità». Il verbale è stato depositato oggi all’udienza preliminare a carico dell’amante storica del boss, Laura Bonafede.

«Che siano pezzi di verità che siano, come dire... che ci diano la possibilità di dire, anche a noi questa è verità», spiega Guido che più volte, pur puntualizzando che non si sta parlando di invito al pentimento, esorta il capomafia a parlare coi magistrati (insieme all’aggiunto a interrogare il boss c’erano i pm Piero Padova e Gianluca De Leo). «Pezzetti di verità - aggiunge il magistrato - che ci dirà lei e che le consentiranno di... anche di essere più sereno, rispetto alla sua storia, rispetto a questa schifezza che l’ha circondata prima e dopo e fino a qualche giorno fa. Questa è la nostra, diciamo... il nostro invito a riflettere...».

«Sono alla fine della mia vita, ma il punto è io non sono il tipo di persona - e mi creda che è la verità, non me ne può fottere più niente - non sono il tipo di persona che vengo da lei e mi metto a parlare dell’omicidio, per rovinare a X, Y, non ha senso nel mio modo, mi spiego?», dirà in un altro passaggio dell’interrogatorio Messina Denaro che, dunque, alterna piccole aperture a chiusure nette verso i pm.

L'attentato a Falcone

«Ma ci sono cose, però, che, per esempio, nessuno è mai arrivato, perché a me mi sembra un poco riduttivo dire che a Falcone lo hanno ucciso per la sentenza del maxi processo. Se poi voi siete contenti di ciò, bene venga, sono fatti vostri, ma la base di partenza non è questa...». Insinuava verità ancora da scoprire sulla strage di Capaci il boss Matteo Messina Denaro, in un altro passaggio del verbale. «Quello che sto dicendo è verità... ognuno poi, nella vita... tutti questi, chiamiamoli pentiti, che hanno detto... hanno detto, sì, qualche pezzo di verità, gli hanno fatto fare dei processi, va bene; ma ognuno ha portato acqua al suo mulino poi. Poi, se per portare acqua al suo mulino, dicono cose anche che possono coincidere con quello che cercate voi o con quello che interessa a voi, ben venga, giusto?» «, continua. «Voi siete contentati che il giudice Falcone sia stato ucciso, perché ha fatto dare 11 ergastoli? Perché di 11/12 ergastoli si trattava, nel maxi processo, credo, ma credo che questi siano...», insiste insinuando.

Messina Denaro definisce l’attentato di Capaci come la «cosa più importante, quella da dove nasce tutto, le stragi, l’input». E con fare accusatorio, alludendo al depistaggio delle indagini sull’attentato costato la vita al giudice Paolo Borsellino, prosegue: «Perché vi siete fermati a La Barbera, La Barbera era all’apice di qualcosa», riferendosi all’ex poliziotto ritenuto la mente dell’inquinamento dell’inchiesta che ha portato alla condanna di innocenti. «Se fosse vivo ci sareste arrivati o vi sareste fermati un gradino prima?», chiede ai pm.

«Mi avete preso perché ero malato, non c'è stato nessun traditore»

«Mi avete preso per il male sennò non mi prendevate. Con la mente ho ricostruito tutto come è stato il discorso, so che non c’è stato nessun traditore. La mattina che mi hanno arrestato la prima cosa che uno pensa è che qualcuno ha tradito. È stato tradito Gesù Cristo; e allora il colonnello mi ha detto "le assicuro che non l’ha tradita nessuno" e io non gli ho creduto. Poi ragionando ho detto: vero è. Ho letto le carte e mi sono fatto pure una logica». È un altro passaggio dell’interrogatorio. «Mi avete preso per la malattia o per un errore mio, dirlo a mia sorella. Perché gliel’ho detto? Non volevo farmi trovare morto e nessuno in famiglia sapeva niente». Il boss si riferisce al fatto che l’appunto della sorella sulla malattia di Messina Denaro, trovato nel bracciolo di una sedia, fu l’inizio delle indagini che portarono all’arresto.

«I boss mi volevano tutti bene»

«Sono, diciamo tra virgolette, un mafioso per come mi considerate voi, un poco anomalo, non mi sono inimicato nessuno nel territorio, intendo il mio paese. Chiunque mi vuole bene. Lei stamattina pensava di trovare un Rambo, invece non ha trovato niente». Tono più dimesso del solito, affaticato, dolente e disposto ad ammettere solo quel che davvero non può negare. Il padrino era già molto malato e sapeva di avere i giorni contati. «Io sono sempre stato in quello che voi ritenete mafiosità una garanzia per tutti. Non ho mai rubato niente a nessuno. Parlo del mio ambiente, non ho mai cercato di prevaricare, né in ascese di potere, né per soldi», spiega.

Ai magistrati che gli chiedono da dove vengano i soldi trovati a casa della sorella Rosalia, poi arrestata, risponde: «Mi servivano per mantenermi. Il denaro trovato a mia sorella è sicuramente origine di mia madre perché erano soldi di famiglia, ovviamente se mia madre mi poteva aiutare mi aiutava». «Lei pensa che io uscivo a fare rapine o chiedere estorsioni? - chiede ai magistrati - Non ho mai chiesto estorsioni a nessuno, non ho mai fatto traffici di droga, non ho mai fatto rapine. I soldi erano nella disponibilità della mia famiglia, mia madre ha sempre cercato di conservare e dare a tutti, specialmente a me».

«Che vita facevo a Palermo? Libero come quella di Campobello»

«Che vita facevo a Palermo? Libero come quella di Campobello, perché bene o male voi avete scandagliato quella di Campobello (il paese in cui ha trascorso gran parte della latitanza ndr), ma in genere sempre quella vita faccio, cioè lo stesso fac-simile», ha detto l'ex padrino di Castelvetrano rispondendo ad un'altra domanda. «Le mie amicizie non è che iniziano e finiscono solo nel mondo che voi considerate mafioso, non è così, le mie amicizie erano dovunque».

«Io ho una famiglia rovinata...»

«Io ho una famiglia rovinata... ma alla fin fine quale colpa ho avuto io? Posso avere colpe personali: impiccatemi, datemi tutti gli ergastoli che volete; ma che la mia famiglia sta pagando da una vita questo tipo di rapporto con me, perché mi viene sorella o mi viene fratello...». Così Matteo Messina Denaro si lamentava delle indagini a carico dei suoi familiari con i pm di Palermo.
«Io so soltanto una cosa - aggiunge - che, però non sto facendo nessun atto di accusa, quello che... che mi avete distrutto una famiglia, rasa al suolo, ci sono dei sistemi che non vanno, lasciamo stare le condanne, ci sono dei sistemi che non vanno; ora sento dire: case distrutte... perché mia mamma che è: latitante o mafiosa? Lei...la legge, lo Stato gli ha distrutto la casa, i mobili fatti a pezzettini. Cioè dove lo volete trovare un dialogo, quando ci sono questi comportamenti?», dice ai magistrati mostrando un evidente risentimento.

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