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Messina Denaro: stragi e latitanza, l'ultimo padrino

La cattura dell’ultimo superlatitante di Cosa nostra, il 16 gennaio scorso, arrivò trent’anni e un giorno dopo l’arresto di Totò Riina da parte dei Ros

Il boss Matteo Messina Denaro in un fermo immagine dopo l'arresto dai carabinieri

La cattura dell’ultimo superlatitante di Cosa nostra, il 16 gennaio scorso, arrivò trent’anni e un giorno dopo l’arresto di Totò Riina da parte dei Ros. Riina era rimasto libero e ricercato 24 anni, per 43 era rimasto latitante Bernardo Provenzano, non è arrivato a compierne trent’anni esatti, Matteo Messina Denaro, che era in fuga da metà 1993 assieme al padre, Francesco. Lui morì il 30 novembre del 1998 in latitanza, nelle campagne di Castelvetrano (Trapani) paese di cui entrambi sono originari e Matteo lo fece trovare «conzato», pronto per la sepoltura con l’abito buono.

Morto Ciccio Messina Denaro, il testimone dell’ala corleonese della provincia di Trapani era stato raccolto da Matteo: in una lettera scritta alla fidanzata dell’epoca, Angela, dopo le stragi mafiose di Roma, Milano e Firenze, preannunciò l’inizio della sua vita in fuga. Diabolik, u Siccu, un volto invisibile, un’esistenza messa in dubbio nonostante avesse avuto una figlia, oggi ventenne. Il boss stragista, condannato per Capaci, via D’Amelio e per gli eccidi del 1993 a Roma, Firenze e Milano, oltre che per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito. Di lui si trovarono lettere a Bernardo Provenzano, nel covo di Montagna dei Cavalli: «Qui a Marsala (Trapani, ndr) scriveva stanno arrestando pure le sedie».

Motivo per cui si diede alla sommersione, facendo il vuoto attorno a sè e interrompendo qualsiasi collegamento. Intercettazioni e biglietti su di lui sono di anni e anni fa. Non scriveva personalmente ma qualcuno che teneva i contatti per lui doveva pur esserci. Operato in Spagna all’inizio degli anni Duemila, gli investigatori erano riusciti a ricostruire quale fosse la clinica iberica e a prendere il Dna. Decine gli omicidi per cui è stato condannato, fra questi Vincenzo Milazzo e Antonella Bonomo, che era incinta. Per il suo arresto, negli anni, furono impegnati centinaia di uomini delle forze dell’ordine, di tutte le forze di polizia.

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