L’ultimo respiro, dopo quattro giorni di coma, poco prima delle 4 della mattina di un freddo lunedì di settembre: é morto così Matteo Messina Denaro. E’ spirato in solitudine, monitorato dalle apparecchiature sanitarie che registrato il suo ultimo battito cardiaco hanno segnalato il decesso. Dal reparto detenuti dell’ospedale San Salvatore de L’Aquila, dove il boss era ricoverato dall’inizio della fase terminale del tumore al colon che in poco meno di tre anni lo ha ucciso, la notizia della morte di Matteo Messina Denaro é rimbalzata prima dell’alba alla Procura di Palermo al Comando Generale dei Carabinieri e al Ministero dell’Interno. Da otto mesi, dalla la cattura il 16 gennaio da parte del Ros dei Carabinieri, il capomafia era detenuto nel supercarcere di Costarelle a l’Aquila.
La morte del padrino di Castelvetrano focalizzerà ulteriormente le indagini antimafia sui 30 anni della sua latitanza e sui beni dell’impero finanziario, societario e immobiliare ereditato dal padre, lo storico capomafia trapanese Francesco Messina Denaro, e incrementato dall’erede designato del clan. Un impero radicato essenzialmente in Sicilia, gestito attraverso prestanome e intestazioni fittizie e finanziariamente esteso da Matteo Messina Denaro anche all’estero. Una gestione di beni che presuppone contabilità e movimentazioni per le quali sono indispensabili appunti, la tenuta di un registro e probabilmente un computer. Carte e computer che gli inquirenti stanno cercando nei covi ancora segreti. Elementi essenziali per venire a capo delle ulteriori identità utilizzate, delle coperture e delle complicità che hanno garantito al boss protezione e agibilità durante la latitanza. «Queste cose io, qualora ce le avessi, non le darei mai, non ha senso per il mio tipo di mentalità», ha in proposito dichiarato Messina Denaro ai magistrati della Procura di Palermo durante gli interrogatori.
Oltre ai retroscena delle stragi di mafia, fra i tanti segreti che il capomafia deceduto si è portato nella tomba vi é soprattutto quello riguardante l’archivio di Totò Riina, che secondo il pentito Nino Giuffré dopo la cattura del capo dei capi di cosa nostra, nel gennaio del 1993, sarebbe stato consegnato al boss di Castelvetrano. L’allora giovane rampollo delle cosche trapanesi e il padrino corleonese erano molto legati. "Riina era maniacale nel mettere insieme e conservare tutti i documenti, prendeva appunti anche alle riunioni e li metteva da parte e quelle carte sono finite a Matteo Messina Denaro", ha affermato con convinzione il pentito Giuffré. Segreti e misteri che se effettivamente confermati sono comunque destinati ad essere decrittati. L’attenzione ora si sposta a Castelvetrano dove sarà trasferito e sepolto Matteo Messina Denaro. Esclusi i funerali pubblici, saranno minuziosamente radiografate presenze e partecipazioni al lutto dei familiari. Per decifrare eventuali indizi e disinnescare il rischio di giustificare un’esistenza senza senso e senza pietà come quella vissuta da Matteo Messina Denaro. Un’esistenza della quale oltre l’orrore resta il nulla.
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