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I file rubati sull'arresto di Messina Denaro, gli indagati preparavano un falso scoop

Il carabiniere e il politico finiti ai domiciliari, volevano creare un finto giallo con al centro il presunto disegno degli investigatori di ritardare la perquisizione ufficiale della casa e occultare materiale scottante

Tra i file riservati sulla cattura del boss Matteo Messina Denaro «rubati» dagli archivi informatici dell’Arma da un carabiniere, oggi finito ai domiciliari, e offerti in vendita a Fabrizio Corona con la promessa di uno scoop clamoroso, c’era anche un documento del Ros con la programmazione degli obiettivi da perquisire dopo l’arresto del capomafia. Nella versione del file trafugata dal militare, per un errore di trasmissione, non era indicato il covo di vicolo San Vito, di Campobello di Mazara, in cui il padrino ha trascorso l’ultimo periodo di latitanza, intestato al suo alter ego, il geometra Andrea Bonafede. Una circostanza usata dal carabiniere e dal suo complice, un politico locale, per imbastire un finto giallo con al centro il presunto disegno degli investigatori di ritardare la perquisizione ufficiale della casa e occultare materiale scottante.

Il piano dei due arrestati è stato però sventato dalla Dda di Palermo e dagli stessi carabinieri che hanno approfondito la vicenda accertando che, subito dopo l’arresto di Messina Denaro, i militari del Raggruppamento speciale hanno cominciato a perquisire, uno per uno, tutti gli immobili riconducibili a Bonafede. Alle operazioni assisteva peraltro l’alter ego del boss. Al covo di vicolo San Vito, che era stato fin dal principio inserito nell’elenco stilato dal Ros, gli investigatori arrivano nel pomeriggio dopo aver ispezionato le altre proprietà. E solo entrando nella abitazione con Bonafede comprendono che quello potrebbe essere stato l’ultima abitazione di Messina Denaro. Intuizione che il geometra, incalzato dai militari, poi conferma.

Nella foto il covo del padrino di vicolo San Vito a Campobello di Mazara

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