Piera Maggio, la madre di Denise Pipitone, la bambina scomparsa da Mazara del Vallo il primo settembre 2004, scrive sui social: «Chiunque non ha titolo o legittimazione non è autorizzato ad agire per conto di Denise Pipitone. Denise ha due genitori che l’hanno voluta, amata, e messa al mondo. I genitori naturali, gli unici che in tutti questi anni hanno avuto l'interesse a portare avanti le ricerche e le tante battaglie intraprese a suo favore». Piera Maggio poi tira una stoccata, nel suo post, a una persona imprecisata, ma è inevitabile non pensare all'ex pm della procura di Marsala Maria Angioni, che si occupò delle prime indagini e che nei giorni scorsi ha lanciato una raccolta fondi per cercare la verità sulla scomparsa della bambina, iniziativa subito contestata dai genitori naturali di Denise e bollata come «non autorizzata». Stavolta Piera Maggio scrive: «Poi c'è un’altra persona che si è intrufolata in questioni private e delicatissime che non le competevano. Persona che in questi anni ha detto di tutto e di più sul nostro caso attraverso i social, video e tv a nostro sfavore in modo diretto e indiretto, dalle illazioni alle inesattezze alle tante allusioni anche sulla mia famiglia e conoscenti». La mamma di Denise Pipitone cita anche un'intervista nella quale «la stessa collocava il sequestro di mia figlia in un orario antecedente, cioè 10.30, accusandoci di mentire senza alcunché di prove, spostando l’asse principale del rapimento, cosa molto grave, sminuendoci e facendo ipotizzare alle persone che la seguono illazioni pesantissime (basate sul nulla) al fine di mettere in dubbio l’innocenza delle vittime, oltre alle domande prive di rispetto che mi sono state rivolte attraverso i social nonostante viva di già di un dolore enorme, per non parlare delle piste fantasiose portate avanti con assoluto disprezzo nonostante la nostra sofferenza... e potrei andare avanti ancora a lungo, ma qui mi fermo». La signora mazarese conclude così: «Non c'è di peggio dell’ipocrisia di chi sta sfruttando una tragedia solo per visibilità personale, e per poter sfogare la propria avversione verso le vere vittime, i fatti documentati negli anni parlano già da soli».