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I misteri di Messina Denaro e l'archivio di Riina nei covi ancora segreti

Messina Denaro nel giorno del suo arresto

Scriveva tutto Matteo Messina Denaro. Riflessioni, pensieri, messaggi per fiancheggiatori e persone care, un diario destinato alla figlia naturale, il resoconto minuzioso delle spese sostenute. Scriveva e conservava, nonostante la sua proverbiale cautela nel non lasciare tracce. Nei tre covi, tutti a Campobello di Mazara, scoperti dopo il suo arresto, sono stati trovati migliaia di «pizzini» che gli investigatori del Ros stanno cercando di decriptare. Ma per il gip che oggi ha arrestato per favoreggiamento Laura Bonafede, una delle principali fiancheggiatrici del padrino, i documenti, le cose importanti non sarebbero ancora saltate fuori e sarebbero nascoste in luoghi rimasti ignoti agli inquirenti. Il pensiero va all’archivio che Totò Riina, dicono alcuni pentiti, avrebbe dato a Messina Denaro, allora enfant prodige di Cosa nostra a cui il capo dei capi era molto legato.

«La cura quasi maniacale del latitante nella annotazione di qualsiasi accadimento della sua vita, nella tenuta di diari e quaderni in cui trascriveva anche commenti, - dice il giudice nell’ordinanza di custodia cautelare con la quale ha disposto il carcere per la Bonafede - non può fare dubitare dell’esistenza di materiale di ben altra importanza sugli affari criminali di Messina Denaro custodito in altri covi non ancora individuati (e di cui, peraltro, v’è già traccia in alcune delle corrispondenze tra il latitante e Laura Bonafede che pure mostra di conoscerli)».

E in effetti almeno due dei nascondigli il cui il padrino potrebbe aver conservato carte scottanti e documenti relativi agli affari fatti vengono citati dalla Bonafede in lettere indirizzate al capomafia. La donna, che nei messaggi ricorda il tempo trascorso con Messina Denaro, al quale era legata sentimentalmente, indica con i nomi cifrati di tugurio e limoneto i luoghi dei suoi incontri con Messina Denaro. La maestra arrestata, d’altronde, non era solo addetta alla cura e alla protezione del latitante, col quale avrebbe anche convissuto per anni, ma condivideva con lui riflessioni e considerazioni su affari e sulla sorte della cosca. «Prezzo: 0,75 euro, praticamente la metà. Invece l’integro 1,50 euro. Se non ci fosse stato questo imprevisto sarebbe stato raggiunto un buon obiettivo ma va bene lo stesso», scriveva la Bonafede in un biglietto. Prezzi e margini di profitto, secondo i magistrati. «Da questi scarni riferimenti - si legge nel provvedimento cautelare - si coglie la condotta di sostentamento economico da parte della donna che si faceva carico per conto del latitante, della gestione di attività economiche, consentendogli così di non esporsi direttamente con il rischio di essere catturato».

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