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Il mistero di Denise, al processo si parla dei sospetti sul commissariato

Denise Pipitone a 4 anni

«C’erano delle preoccupazioni relative alla presenza di qualche personaggio dentro al commissariato di Mazara del Vallo che aveva contatti indiretti con Anna Corona». Lo ha dichiarato, ieri, in Tribunale, a Marsala, il maresciallo dei carabinieri Francesco Di Girolamo, chiamato a testimoniare nel processo al giudice Maria Angioni, accusata di false informazioni al pm nell’ambito dell’ultima inchiesta sulla scomparsa della piccola Denise Pipitone, sparita a Mazara l’1 settembre 2004, quando aveva poco meno di 4 anni.

«Era il responsabile del commissariato - ha affermato Di Girolamo - il nome non lo ricordo, ma sarà facile individuarlo, ce n’era soltanto uno», rilanciando quindi i sospetti sui primi mesi di indagine e i rapporti con Anna Corona, madre di Jessica Pulizzi, poi assolta dall’accusa di concorso nel sequestro della piccola. In quel periodo il carabiniere era in servizio alla Compagnia di Mazara, che partecipava alle indagini coordinate dalla Procura di Marsala. «Con la Angioni (tra i primi pm ad essersi occupati del caso Denise, ndr) – ha continuato il sottufficiale dell’Arma - ho parlato una miriade di volte, abbiamo spaziato a 360 gradi», ma «mai ho riferito di essere stato inseguito dal personale del commissariato di Mazara. Semmai in quel periodo c’erano tante forze di polizia, per cui la sera o la notte capitava di incontrare altre forze di polizia. Era facile di andare in un posto in cui volevamo fare delle attività, ma trovavamo altre forze dell’ordine».

Prossima udienza il 28 aprile, quando dovrebbero essere ascoltati un altro carabiniere e il magistrato Luigi Boccia, che all’epoca fu tra i primi pm, insieme alla Angioni, ad indagare sul sequestro Denise.

Oggi intanto la mamma Piera Maggio è tornata a parlare pubblicamente di Denise. «Ancora oggi mia figlia la cerco viva - ha detto - fino a prova contraria. Se mi daranno una dimostrazione diversa, si scriverà un’altra storia, ma fino ad allora siamo qui a lottare per lei».

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