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Mazara, pescatori liberi anche grazie alle donne

La lunga e drammatica vicenda dei 18 pescatori (8 italiani, 6 tunisini, 2 indonesiani e 2 senegalesi) e dei due motopesca “Antartide” e “Medinea” sequestrati a Bengasi e liberati il 17 dicembre ha visto come protagoniste le donne. Madri, mogli e figlie dei pescatori fin dal primo giorno della notizia del sequestro, la mattina del 2 settembre, hanno iniziato la loro battaglia per la liberazione dei loro pescatori, rei soltanto di esser andati a pescare in quelle acque internazionali storicamente ricche di gambero rosso e a considerate invece dai libici all’interno della «zona economica esclusiva» dichiarata, unilateralmente, nel 2005.

Nonostante dal Governo arrivassero nei degli «inviti» a tenere un basso profilo sulla vicenda, facendo presagire una sua soluzione rapida, le donne dei pescatori, hanno cercato fin da subito ad alzare l’attenzione sulla vicenda creando un comitato al grido, vedi il noto striscione, «Liberate i pescatori di Mazara».

«Sentivo insieme alle altre mogli e alle madri dei nostri pescatori –ha sottolineato Cristina Amabilino, moglie del secondo ufficiale Dino Salvo, la portavoce delle famiglie dei pescatori sequestrati- fossero vittime di soprusi, angherie e violenze da parte dei miliziani del generale Haftar; infatti una volta liberati hanno raccontato l’inferno di quei 108 giorni».

Le donne dei pescatori italiani e tunisini hanno condiviso, ognuna la fianco dell’altra, le molte iniziative promosse per sensibilizzare l’opinione pubblica e soprattutto le autorità governative ad alzare l’attenzione su una vicenda che rischiava di essere dimenticata. Era una domenica di metà settembre quando un gruppo di donne è partita alla volta di Roma per un presidio permanente a piazza Montecitorio. Del gruppo guidato dai due armatori dei motopesca facevano parte: l’anziana Rosetta Ingargiola, madre di Pietro Marrone, la quale già 24 anni fa ha perso un figlio a causa di un naufragio di un peschereccio: la sopracitata Cristina Amabilino, la giovane Naures Ben Haddada figlia del motorista Mohamed; oltre a loro un gruppetto di altre donne che si sono perfino incatenate davanti al Parlamento dormendo diverse notte all’addiaccio in quella stessa piazza.

Le altre donne del comitato spontaneo, fra queste Marika Calandrino, moglie di Giacomo Giacalone, Anna Giacalone, madre di Fabio Giacalone, e la signora Monia Ben Haddada insieme alle altre due figlie, Islem e Dorsef, invece hanno continuato la loro protesta occupando pacificamente l’aula consiliare di Mazara del Vallo che dopo la telefonata, concessa solo ai pescatori italiani, è divenuto l’unico epicentro della «battaglia». Sono state loro tutte insieme quella indimenticabile mattina del 17 dicembre ricevuta la notizia della liberazione dei pescatori a strappare il suddetto lo striscione sistemando quello con il quale domenica 20 dicembre avrebbero accolto i loro uomini e con su scritto «Bentornati a casa».

L'articolo di Francesco Mezzapelle nell'edizione di Trapani del Giornale di Sicilia

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