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Riti, parole d'ordine e "pizzini": il cerchio magico di Messina Denaro

Un rituale ordinato quello che ruotava attorno al "regno" di Matteo Messina Denaro, fatto di riti, "pizzini" e parole d'ordine.  «La ricotta è pronta?» erano soliti chiedere gli uomini d’onore in attesa degli ordini di Matteo Messina Denaro.

Ordini trasmessi tramite i "pizzini", il sistema di corrispondenza segreta inventato da Bernardo Provenzano e recuperato dai un’inchiesta culminata con quindici indagati nel cerchio magico del superlatitante.

Nelle intercettazioni emerge la voce di don Vito Gondola, uomo di antico stampo che usa le stesse parole dei personaggi dei gialli del commissario Montalbano. "Ci vediamo alla mannara", dice per indicare un casolare delle campagne trapanesi che, utilizzato come stalla per gli animali, veniva "riconvertito" in sala riunioni di mafia in cui si progettavano le intimidazioni e le operazioni necessarie per puntellare la rete degli interessi economici, oltre che criminali, di Cosa nostra.

Un video di qualche anno fa mostra don Vito Gondola che, recandosi alla «mannara», nasconde un "pizzino" sotto un masso. Le colonne portanti di questo sistema erano due fedelissimi di Messina Denaro: Giuseppe Calcagno, 46 anni, e Marco Manzo, 55 anni, entrambi arrestati.

Nomi ben noti alla Cupola. Calcagno è stato un fedelissimo di Gondola, che negli anni Settanta fu coinvolto nel sequestro senza ritorno di Luigi Corleo, suocero dell’esattore Nino Salvo: il segnale più dirompente dei cambiamenti che stavano attraversando Cosa nostra.

Manzo è stato condannato a 4 anni per avere bruciato la villa di un consigliere comunale del Pd, Pasquale Calamia, che si era permesso di chiedere interventi più decisi per spezzare la latitanza di Messina Denaro. Gondola è morto tre anni fa.

Guidati da Gondola, Calcagno e Manzo distribuivano i "pizzini" del boss, organizzavano incontri, imponevano le loro regole nella cessione di fondi agricoli. Facevano insomma gli interessi degli «amici» ma soprattutto del padrino di cui rimane traccia nel volto incorniciato da una corona in un ritratto pop appeso a una parete in casa della sorella.

Di lui non è stato trovato neanche un segno nella casa della madre ancora una volta perquisita senza risultati. La nuova operazione, che segue di due giorni un’altra retata di fedelissimi del padrino, assesta un altro colpo all’organizzazione delll'impero criminale e imprenditoriale. Ma non chiude una partita cominciata nel 1993, nel pieno della stagione delle stragi.

Per il resto l’inchiesta «Ermes fase 3» è una ricomposizione di storie vecchie e nuove, una rivisitazione di traffici e riti. I vertici di mafia vivevano in un’atmosfera di sfarzi pacchiani e di rozze abitudini. Uno scampolo è dato da una riunione a Mazara del Vallo con ostriche e aragoste alla presenza di Totò Riina. Quella passò come la «cena delle spine».

A un certo punto Riina aveva alzato la voce contro due picciotti che si erano rifiutati di uccidere Paolo Borsellino. Disse che andavano tolti di mezzo perché erano diventati due «spine».

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