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Marsala, scarcerato un anziano boss ergastolano

Senza alcun clamore mediatico, già da qualche mese ha lasciato il carcere, per gli arresti domiciliari, l'81enne boss mafioso marsalese Francesco D'Amico, condannato all'ergastolo nell'ambito del processo "Omega", dove era imputato, insieme con il gotha di Cosa Nostra in provincia, per associazione mafiosa e omicidio. Età avanzata e anche "ragioni di salute", spiega il suo legale, l'avvocato alcamese Baldassare Lauria, hanno giustificato il provvedimento.

Francesco D'Amico è fratello di Vincenzo e Gaetano D'Amico, rispettivamente ex reggente e consigliere della vecchia famiglia mafiosa marsalese. Questo fino all'inizio del 1992, quando furono uccisi nella "guerra" scatenata per ordine di Totò Riina, che nel corso di un pranzo-summit a Mazara del Vallo avrebbe detto al superkiller Antonio Patti: "Dobbiamo toglierci queste spine". Il riferimento era proprio a Vincenzo e Gaetano D'Amico, che con Francesco Craparotta (terzo componente del triumvirato lilybetano) erano entrati in contrasto con i "corleonesi" opponendosi all'ordine del "capo dei capi" di organizzare, a Marsala, un attentato contro il procuratore Paolo Borsellino. Se l'avessero fatto, la pressione dello Stato, a Capo Boeo, sarebbe diventata per loro soffocante.

E così, nel gennaio '92, attirati in un tranello dal fido Antonio Patti, poi collaboratore di giustizia, caddero per "lupara bianca" Vincenzo D'Amico e "Ciccio" Craparotta, mentre Gaetano D'Amico fu crivellato di colpi, il 7 febbraio successivo, all'interno del Bar Timone, di fronte al porto. Subito dopo quell'omicidio, sul posto arrivarono Paolo Borsellino e il pm Massimo Russo. Fino a quel momento, la posizione di Francesco D'Amico era sembrata un po' più defilata.

Ma con il pentimento di Antonio Patti, che nel '93, fu "reggente" a Marsala, e quindi a conoscenza dell'intero organigramma degli affiliati, boss e gregari, nonché di numerosi omicidi, i magistrati della Dda di Palermo (il Procuratore Caselli, l'aggiunto Croce e i sostituti Russo, Consiglio, De Francisci e Paci) riuscirono a fare luce su oltre trent'anni di fatti di sangue. Una settantina di omicidi, un'autentica mattanza, commessi nell'ambito delle feroci faide fra i vari clan mafiosi del Trapanese. Sia Massimo Russo che Antonella Consiglio definirono Antonio Patti "il collaboratore di giustizia più completo per Cosa Nostra in provincia di Trapani". Furono, infatti, le rivelazioni dell'ex superkiller (si autoaccusò di circa quaranta omicidi) a consentire, nel gennaio, 1996, l'operazione "Omega": 80 gli ordini di cattura spiccati. Una maxi-retata. Tra gli arrestati, anche Francesco D'Amico, che alla fine del processo fu uno dei 27 imputati condannati all'ergastolo.

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