TRAPANI. La Corte di assise di appello di Palermo ha confermato la condanna a 30 anni di reclusione ad Antonino Incandela, 33 anni, accusato dell'omicidio del parroco di Ummari, don Michele Di Stefano, assassinato il 26 febbraio 2013 nella canonica, mentre dormiva. Un delitto il cui movente, nonostante due processi, rimane ancora poco chiaro.
Incandela è un reo confesso. L’imputato, tuttavia, condannato per omicidio a scopo di rapina, ha sempre sostenuto che – con le bastonate – voleva infliggere una “lezione” al sacerdote. Se avesse agito per rapinarlo, non si capisce perché avrebbe dovuto mentire su un fatto, oggettivamente marginale, rispetto al reato principale e più grave (l’omicidio). L’unica possibilità per fare ulteriormente luce sul delitto è rappresentata, in caso di ricorso in Cassazione, l’eventuale annullamento con rinvio della Suprema Corte. Ma questa, al momento, è solo un’ipotesi. In primo grado Incandela è stato giudicato con il rito abbreviato dinanzi al giudice per le udienze preliminari, senza, quindi, un dibattimento.
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