A metà strada verso una delle due Acropoli della città, con una vista mozzafiato sul verde delle colline e il blu del golfo di Castellamare, l’imponente villa del navarca Eraclio, col suo tripudio di marmi e di mosaici colorati, promette ancora tante sorprese. Così come la palestra per i ragazzi, lo straordinario ephebicon ancora tutto da studiare, tornato alla luce negli ultimissimi scavi in corso sull’Acropoli Nord. Mentre sull’altra collina, a Sud, si tornerà ad indagare la parte più viva e pulsante dell’abitato ellenistico romano, là dove adesso si spera di trovare anche le case.
Da settimane nella bufera per la polemica che sta accompagnando la mostra d’arte contemporanea della Fondazione Mertz, il parco archeologico di Segesta, in Sicilia, si prepara in realtà ad accogliere una nuova stagione di scavi, con un brulicare di missioni in arrivo dalle università di ogni dove, Tuxon, Michigan, Berlino, Ginevra, insieme alla Normale di Pisa, l’Alma Mater di Bologna, Viterbo, Palermo. Approdata nel 2018 alla guida del parco, che con i suoi 190 ettari di estensione è uno dei 20 istituti siciliani dotati di autonomia, l’archeologa Rossella Giglio allarga le braccia: «La realtà è che qui c’è ancora tantissimo, da fare», spiega, mentre lo sguardo spazia sull’incanto di questo luogo che prima di essere popolato da greci e romani fu degli antichi elimi. In pensione da una manciata di ore, Giglio era una delle ultime archeologhe rimaste tra i dirigenti dei beni culturali siciliani. E forse è per questo che considera le decine di convenzioni siglate fino all’ultimo con università e istituti di cultura come un investimento sul futuro dell’archeologia e della sopravvivenza della ricerca in un luogo potenzialmente ricchissimo, dove pure negli ultimi anni, «almeno dal 2010 al 2018», era stato fatto poco. Come importanti, sottolinea, sono stati gli interventi per la vivibilità del parco, con nuovi percorsi e servizi, un piccolo antiquarium, panchine, cartelloni, sentieri. Senza contare i nuovi depositi, il laboratorio di restauro. Piccole cose, stante la carenza di fondi e di personale, che sembrano comunque aver dato già frutti, dice Giglio. Persino le installazioni della Fondazione Merz e la polemica partita da Vittorio Sgarbi sembra essere servita: a dispetto di un iter che aveva avuto tutte le autorizzazioni necessarie, il presidente della Regione, Nello Musumeci, ha chiesto e ottenuto una revisione del progetto, che si sta studiando proprio in questi giorni. Ma nello stesso tempo, con buona pace delle critiche, sono aumentati i visitatori, più o meno 1500 al giorno nelle ultime settimane, a fronte di una media del sito che non superava le 350 mila presenze annue.
A mezza collina intanto, nel cantiere di quella che fu la casa o forse l’ufficio commerciale del navarca Eraclio, il ricco armatore conosciuto da Cicerone così fiero del suo ruolo da aver ordinato per una delle sale mensole a forma di rostro di nave, la restauratrice, Simona Panvini, lavora paziente alla ripulitura e al consolidamento dei bellissimi mosaici, raffinati al punto da aver poco da invidiare a quelli delle più sfarzose case romane. Uno in particolare, con un disegno a rombi in bianco e verde che è molto simile a quello della Casa dei Grifi sul Palatino. «Decorazioni eseguite da maestranze di altissimo livello, con dettagli di estrema raffinatezza», conferma la restauratrice. Caratterizzata da un ampio peristilio affacciato verso il mare e articolata su due piani, la villa doveva essere anche molto grande. La missione dell’Università di Ginevra guidata da Alessia Mistretta, è attesa per metà maggio: lavorerà per riportarne alla luce altri ambienti, in particolare il piano superiore, dal quale ci si aspetta molto, anche gli elementi per capire davvero quale fosse la destinazione d’uso di questi fastosi ambienti. Le sorprese, di certo, non mancheranno.
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