In una conversazione tra l’artista e il curatore racchiusa nel catalogo dedicato alla mostra, De Grandi nel rivelare come quella della pittura sia una “pratica quotidiana, un mezzo di elevazione spirituale, un esercizio monastico”, riferisce del tormento che ha preceduto e accompagnato questo ciclo. “Pittore e per di più ‘passatista’”, ironizza De Grandi, che lo scorso anno è pure stato protagonista di un evento collaterale della Biennale di Venezia. “Ho dovuto fare un lungo percorso interiore – spiega - per riuscire a gestire il terrore dell’essere fuori strada, fuori dalla “contemporaneità” e farmi accettare alla bella società dell’arte del XXI secolo che mi guardava con sospetto. Poi mi sono arreso: ho incontrato i Wu Ming (lett. “senza nome”, inteso come tributo degli artisti alla dissidenza e al rifiuto della notorietà a tutti i costi) e ritrovato il piacere di lavorare in quella sottilissima e pericolosa linea che caratterizza gli “oggetti pittorici non identificati”. Guardo ancora con particolare attenzione, emozionata e amorevole, alla cultura del popolo, del misticismo, della follia, dello sguardo puro e innocente. E riconosco che l’uso delle immagini è ormai un’ossessione. Il web ne ha poi aumentato esponenzialmente il serbatoio: milioni di dati con naufragi, ex voto, pitture marinare, foto d’epoca, immagini di reportage, barconi di immigrati”.
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