In teoria ci sarebbe ancora tempo, fino al 3 maggio, data limite per la presentazione delle liste, ma nella pratica, salvo improbabili (leggi impossibili) colpi di scena, l’effetto domino delle amministrative sul centrodestra siciliano sembra già scritto, con inevitabili ripercussioni a Palazzo d’Orleans: firme alla mano, nella città falcata, i leghisti di Mimmo Turano tireranno dritto a sostegno del sindaco uscente di centrosinistra, Giacomo Tranchida, dopodiché tirerà dritto pure il presidente della Regione. Non subito, dice Renato Schifani, «perché le decisioni è giusto prenderle al termine della campagna elettorale per non arrecare tensioni all’interno del nostro schieramento, che negli altri comuni si presenta unito». Ma di sicuro le scelte saranno fatte alla fine del prossimo mese, a bocce ferme, quando, prosegue il presidente forzista della Regione, «per rispetto della coalizione, farò le mie considerazioni, verificando l’opportunità di continuare il percorso con l’assessore all’Istruzione. Ovviamente senza toccare gli equilibri politici», cioè senza spostare le deleghe che oggi «appartengono» al Carroccio. Schifani interrompe così il silenzio sul caso Trapani, perlomeno sulla stampa «e, beninteso, non perché mi sento strattonare la giacca da qualcuno» - con rifermento al coordinatore di FdI nell’Isola, Giampiero Cannella, che neanche tanto tra le righe ha chiesto le dimissioni di Turano – «ma perché le idee le ho chiare e le ho già esposte in giunta una settimana fa, a porte chiuse: accettare nel mio governo l’esponente di un partito che in un capoluogo di provincia rifiuta di sostenere il candidato espresso dal centrodestra», ossia Maurizio Miceli, «alleandosi invece con la sinistra, rappresenta un problema serio. Da affrontare a tempo debito». A giochi fatti, per l’appunto. Insomma, un attimo dopo il verdetto delle urne, ne seguirà un altro a livello regionale, perché la vulgata secondo la quale l’assessore all’Istruzione avrebbe perso a Trapani qualsiasi appeal sui fedelissimi, dunque le speranze di allontanarli da Tranchida, agli occhi di Schifani (e non solo) «non è una giustificazione convincente». Ma anche perché il presidente non ha intenzione di abdicare al suo ruolo: «di mediatore nella coalizione», che rischia di scricchiolare sotto contrasti e veti incrociati fra Lega e FdI – vedi il caso Catania, con il Carroccio che alla fine ha dovuto fare un passo indietro sul candidato meloniano Enrico Trantino - e di governatore, che adesso, dopo aver subito il pressing di Roma su alcuni nomi entrati in giunta, vuol timonare in mare aperto, senza restare appeso a desiderata vicini e lontani. Ma l’avviso ai naviganti non riguarda solo Turano, perché quel “tagliando” di governo da fare dopo l’estate, annunciato alla recente convention di Forza Italia a Palermo con l’obiettivo «di verificare l’efficienza e la collegialità» dell’esecutivo regionale, «sarà realizzato prima, poco dopo le amministrative», e non è escluso che si trasformi in un rimpasto più ampio, che vada oltre la casella dell’Istruzione. Intanto, Schifani rompe il silenzio anche sull’altro caso politico, entrato in quella che gli osservatori più smaliziati hanno già definito la «campagna acquisti» di maggio: dopo l’arrivo dell’ex M5S Giancarlo Cancelleri, l’approdo in Fi dell’eurodeputata Pd Caterina Chinnici, che, secondo gli stessi smaliziati, avrebbe abbandonato i Democratici non solo per divergenze con la neosegretaria Schlein, ma anche su input del ministro forzista Antonio Tajani, per accrescere il peso del titolare degli Esteri nell’Isola e rafforzare la sua leadership tra gli azzurri, con buona pace dei Dem siciliani «basiti e disgustati», per usare le parole del segretario regionale Anthony Barbagallo, dal «tradimento» e dal fatto che «proprio lei, la figlia di Rocco Chinnici, il fondatore del pool antimafia», sia transitata nel partito «di Berlusconi, Dell’Utri e D’Alì, il primo indagato a Firenze, gli altri due condannati per reati gravissimi di mafia». Parole che il governatore rimanda al mittente, ricordando che «se esistesse un oscar dell’antimafia da assegnare a una forza politica, la vittoria spetterebbe a quella fondata da Silvio Berlusconi, che durante il suo esecutivo ha approvato norme durissime contro le mafie, segnando un record nella cattura dei super latitanti. Detto ciò, certo, tra Chinnici e Tajani ci sono state delle interlocuzioni, come tra me e Cancelleri, ma non c’è stata alcuna «spinta»: il loro approdo in Fi è stato naturale, a conferma che i nostri valori e la nostra coerenza, maturata in 25 anni di percorso, sono attrattivi per tutti i moderati d’Italia».