GIBELLINA. Un senso di incompletezza ed abbandono. Superata la Stella, la famosa Porta del Belice di Consagra, ti vengono attorno i fantasmi sotto forma di angoli sbreccati da cui sbuca la ruggine, fontane immerse nell’immondizia, scenografie monumentali da cui occhieggiano i ferri, erbacce che coprono le ruote, cartelli segnalatori strappati (quando ci sono).
Fuori dal centro abitato, la vallata intonsa come se l’uomo non volesse abitare la terra distrutta dal terremoto del ’68. Su tutto, la memoria sembra essersi dimenticata di Gibellina. E l’aiuto per il recupero arriva dal Nord famigerato, dall’Accademia di Belle Arti di Brera, mentre i fondi sono del Sud, di qui a fianco visto che lo sponsor è la cantina Tenute Orestiadi. Perché queste opere, queste fontane, questi teatri, queste case, hanno firme celebri a corredo: l’arte del ‘900 si allunga come uno sciame tra le case rimesse su, senza il territorio che le aiutasse a crescere. Consagra, certo. Pomodoro, Purini, Gregotti, Mendini, Paladino, Quaroni, Rotella, Schiavocampo, e l’elenco è infinito. Corsero a Gibellina, raccogliendo l’appello di un sindaco quarantenne, Ludovico Corrao, convinto – ricordatelo oggi ad un certo politico convinto che con l’arte non si mangia – che soltanto attraverso l’arte, un paese distrutto potesse ritrovare la vita.
L’utopia di Corrao si infranse ben presto su intoppi burocratici, su uno Stato che decise di regalare biglietti per lasciare la Sicilia ma non di finanziare sculture e installazioni, neanche quando diventavano chiese o teatri. Ma questa è un’altra storia: la realtà oggi di Gibellina è quella di un paese che ha dimenticato l’arte. O almeno, non ha i fondi per restaurare le opere che sono più numerose delle case. Millecinquecento, contando tele e scenografie ospitate alla Fondazione Orestiadi, visto che il Museo Civico ha le porte sbarrate da un cartello che annuncia il restauro che verrà completato in aprile.
Ma la notizia, tra tanto sfacelo c’è: è stato firmato un protocollo di intesa tra l’Accademia di Belle Arti di Brera, la Fondazione Orestiadi, il Comune di Gibellina e il gruppo Cantine Ermes – Tenute Orestiadi. È stato così formalizzato un progetto già da tempo in cantiere: si tratta di «Gibellina Restaura», mirato al restauro di alcune opere del museo en plein air ed inserito nel più ampio piano di marketing territoriale «Destinazione Gibellina».
Il primo intervento è già in corso sulla famosa sala Agorà del municipio di Gibellina, con il mosaico futurista di Gino Severini, pensata come piazza al coperto per i gibellinesi: fu qui che nel 1988 – a vent’anni dal terremoto, tra la gente che viveva ancora nelle baracche – Leonardo Sciascia, già malato, pronunciò il discorso che rimase nella storia: «Vietata l’arte, vietata la bellezza: quasi si volesse che tutto fosse più brutto di prima, che la gente non riconoscesse e non si riconoscesse. […] Intenzione o inconscio desiderio o semplicemente carenza, nella classe di potere, di una sia pur vaga idea di ciò che abbellisce la vita e la fortifica, che più volte, qui intorno, è andata a segno; ma che qui a Gibellina ha trovato un centro di resistenza».
Dieci anni prima Corrao si era ribellato al progetto - disegnato a tavolino in un ufficio romano da un gruppo di urbanisti che pensavano (come scrissero, nero su bianco) di «sradicare la mafia costruendo strade larghe per mettere distanza tra gli abitanti» – e aveva chiesto l’aiuto degli intellettuali e degli artisti. Era il 1970: in una delle baracche si ritrovarono in tantissimi, una foto di Nino Giaramidaro li consegna alla Storia. Si riconoscono, tra gli altri, Leonardo Sciascia, Renato Guttuso e Carlo Levi: chiamarono gli altri, Gibellina cominciò a veder crescere le opere.
La sala Agorà sarà la prima a ritornare alla luce – sarà pronta entro due mesi – seguiranno le altre. Per il momento, sono tutte abbandonate: senza voler per forza chiamare in campo l’eclatante e mastodontico teatro mai completato di Pietro Consagra – di recente soltanto messo in sicurezza, ma del tutto abbandonato mentre il vicino Meeting ospita un locale – basta fare un giro in paese. La «Fontana» di Andrea Cascella si erge tra le cartacce e il cemento sconnesso; l’Aratro di Arnaldo Pomodoro - creato come scenografia della «Tragedia di Didione» del 1986 – presenta alcune coperture saltate e affonda nell’erba alta; «Frequenza di onda», l’installazione di Carlo Ciussi del 1982, sembra sortire da rifiuti e cartacce. Sta meglio «Contrappunto», la scritta monumentale di Fausto Melotti, ma non altrettanto le scenografie – sporche e sbreccate - di Pietro Consagra per il «De Oedipus Rex - Città di Tebe» né la Torre Civica - Carrilion di Alessandro Mendini.
E questi sono soltanto alcuni esempi: si potrebbero citare «La casa del farmacista» e l’intero «Sistema delle Piazze» di Franco Purini e Laura Thermes, solitari e privi di vita, o l’opera «Per Gibellina» di Mauro Staccioli, appena scomparso. L’elenco è lunghissimo e perfettamente inutile. Sta alla voglia di un gruppo di giovani imprenditori per aiutare Gibellina. «Ogni azienda deve assumersi la sua percentuale di responsabilità sociale nei confronti della città dove è nata – dice Alessandro Parisi di Cantine Ermes Tenute Orestiadi –. Per tanti motivi Gibellina non può sostenere la manutenzione e il restauro delle opere. E noi vogliamo che si torni a parlare del paese e non solo per il terremoto. Ludovico Corrao aveva tracciato un solco e noi vogliamo percorrerlo». Il progetto è nato velocemente e si sta decidendo come proseguirà il restauro, difficile perché ogni opera ha bisogno di interventi e materiali diversissimi tra loro. Tenute Orestiadi sosterrà il restauro delle sculture in ferro. Tra i prossimi interventi ci sarà proprio il Mosaico di Severini, ospitato nell’Agorà.
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