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Il clan mazarese, l’allevatore referente del capo finito in cella: il profilo di Domenico Centonze

Centonze Pietro

Domenico Centonze, 49 anni, marsalese, allevatore, sarebbe assurto al rango di braccio operativo del presunto capo mandamento mafioso di Mazara del Vallo, Dario Messina, arrestato nell’operazione Anno Zero (19 aprile 2018) e ancora detenuto.

Secondo gli investigatori, infatti, Centonze avrebbe assunto un ruolo chiave nelle attività mafiose: riscuotere crediti, gestire controversie anche con metodi violenti, organizzare un traffico di stupefacenti tra Palermo e Mazara e controllare le aste fallimentari delle aree di pascolo.

E con lui è finito in carcere anche il cugino Pietro Centonze, 55 anni, con il quale ha condiviso la vicenda giudiziaria relativa al duplice omicidio dei tunisini Rafik El Mabrouk e Alì Essid, di 31 e 34 anni, uccisi con due colpi di fucile, la notte del 3 giugno 2015, in contrada Samperi, tra Marsala e Mazara, di fronte all’ex distilleria Concasio. Le due vittime, i cui corpi caddero a terra in uno spiazzo trasformato in discarica abusiva, viaggiavano su un ciclomotore.

In primo grado, furono entrambi condannati a 20 anni di carcere ciascuno dal gup del Tribunale di Marsala. Pietro Centonze, però, venne assolto in appello, con successiva conferma della Cassazione. Per Domenico Centonze, invece, la condanna venne confermata dalla Corte d’appello di Palermo, ma nel febbraio 2020 la Cassazione annullò la sentenza con rinvio a diversa sezione di Corte d’appello e il 3 febbraio 2021 arrivò l’assoluzione.

Nel frattempo, dopo la pronuncia della Cassazione, era tornato in libertà. Nel luglio 2022, infine, la quinta sezione della Cassazione, dichiarando «inammissibile» il ricorso della Procura generale della Corte d’appello di Palermo, rese definitiva l’assoluzione.

Dalle indagini dei carabinieri di Marsala era emerso che la notte in cui fu commesso il duplice omicidio, all’interno del night Las Vegas di Mazara, una delle due vittime, Rafik El Mabrouk, avrebbe avuto un violento diverbio con Domenico Centonze, che nel locale sarebbe arrivato in compagnia di una ballerina rumena, che poi si sarebbe intrattenuta con il nordafricano, scambiandosi i numeri di telefono. La gelosia, quindi, per l’accusa, era stata il movente dell’omicidio. I due cugini (Domenico difeso dall’avvocato Luigi Pipitone, Pietro da Diego Tranchida) sono a loro volta cugini del capomafia ergastolano marsalese Natale Bonafede.

Secondo quanto emerso da queste ultime indagini, i Centonze sarebbero stati coinvolti in Cosa nostra con l’obiettivo di consolidare il controllo territoriale ed economico. In particolare attraverso la gestione illecita delle risorse agricole nella contrada Grinesti. Attraverso minacce e intimidazioni, avrebbero costretto allevatori a cedere i loro terreni. E le intercettazioni mostrerebbero i Centonze pianificare l’allontanamento forzato degli allevatori, imponendo pagamenti o abbandoni dei terreni. Un allevatore ha raccontato di minacce di violenza fisica e danni economici qualora non avesse accettato le loro condizioni. Inoltre, erano soliti detenere armi da fuoco per consolidare il loro potere.

Le intercettazioni rivelano piani per intimidire allevatori e discutere la gestione delle aree di pascolo. Tra i precedenti, di un certo rilievo quelli di Pietro Centonze, che nel 2005 è stato condannato a due anni e mezzo di reclusione per favoreggiamento mafioso aggravato. Avrebbe favorito la latitanza dei fratelli Giacomo e Tommaso Amato, boss e killer di Cosa nostra marsalese attualmente all’ergastolo. Dieci anni prima, invece, era stato condannato a un anno e sette mesi per estorsione e ricettazione in concorso con Francesco Lombardo, anch’egli coinvolto in indagini antimafia. Nel dicembre 2019, la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani dispose per lui la confisca di beni per un valore di circa tre milioni di euro, ritenendo Pietro Centonze socialmente pericoloso e vicino a Cosa nostra. Ma, nel gennaio 2023, la quinta sezione penale e per le Misure di prevenzione della Corte d’appello di Palermo, su istanza dell’avvocato Diego Tranchida, revocò la confisca dei beni disposta per Pietro Centonze e i suoi familiari.

La famiglia mafiosa di Marsala ha visto nel tempo un susseguirsi di reggenti. Negli anni 2000, il comando era affidato ad Antonino Rallo, arrestato nel 2007 dopo un periodo di latitanza. Dopo di lui, il potere è passato al fratello Vito Vincenzo Rallo, che ha diretto la famiglia fino al suo arresto nel 2009. Durante la detenzione dei Rallo, la reggenza è stata assunta da Antonino Bonafede, anziano uomo d’onore, ormai deceduto, zio dei cugini Centonze. Vito Vincenzo Rallo tornò brevemente al comando nel 2013, ma fu nuovamente arrestato nel 2017 e condannato per associazione mafiosa.

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