Il problema della dispersione di acqua immessa nelle rete idrica, che è datata e in cattivo stato di salute, riguarda un pò tutta l’Italia ma ci sono delle differenze a livello territoriale evidentissime. Se nel Comune di Potenza non arriva nei rubinetti delle abitazioni il 71 per cento di quanto immesso in rete, Como è la città più virtuosa d’Italia, il 9,2 per cento. Lo rende noto il Centro studi della Cgia di Mestre. In un periodo in cui nel Mezzogiorno non piove dallo scorso inverno e le temperature in questi mesi estivi hanno raggiunto livelli spaventosamente elevati, avere in questa ripartizione geografica una dispersione superiore al 50 per cento dell’acqua potenzialmente utilizzabile è un vero e proprio «delitto». Va detto che, in linea di massima, la dispersione è riconducibile a più fattori: alle rotture presenti nelle condotte, all’età avanzata degli impianti, ad aspetti amministrativi dovuti a errori di misurazione dei contatori e agli usi non autorizzati (allacci abusivi).
Va altresì segnalato che la presenza di fontanili nei centri urbani, soprattutto nelle zone di montagna, può dar luogo a erogazioni considerevoli e di conseguenza a elevate perdite, secondo il rapporto della Cgia. Nella campagna romana e abruzzese, inoltre, i fontanili sono degli abbeveratoi in muratura utilizzati dagli agricoltori e dagli allevatori nelle tenute e nei recinti per il bestiame. Non tutto il Sud, comunque, versa in condizioni «disastrose»; fortunatamente ci sono delle situazioni virtuose che vanno doverosamente segnalate. Se, ad esempio, nel comune di Trapani la dispersione raggiunge solo il 17,2 per cento dell’acqua immessa in rete. A livello regionale, dunque, la situazione più critica si registra in Basilicata. In quest’area la dispersione d’acqua su quanto immesso in rete è pari al 65,5 per cento. Seguono l’Abruzzo con il 62,5 per cento, il Molise con il 53,9 per cento, la Sardegna con il 52,8 per cento e la Sicilia con il 51,6 per cento. Per contro, la Lombardia con il 31,8 per cento, la Valle d’Aosta con il 29,8 e l’Emilia Romagna con il 29,7 per cento sono le aree più virtuose del Paese.
Per la realizzazione di nuove infrastrutture idriche primarie, la riparazione, la digitalizzazione e il monitoraggio integrato delle reti idriche per diminuire le perdite d’acqua, il potenziamento e l’ammodernamento del sistema irriguo nel settore agricolo e per la depurazione delle acque reflue da riutilizzare in agricoltura e nel settore produttivo, il PNRR ha messo a disposizione ben 4,3 miliardi di euro, ricorda la Cgia. A queste risorse va aggiunto un altro miliardo che nello scorso mese di maggio è stato assegnato al Ministero delle Infrastrutture per ridurre le perdite nelle reti di distribuzione. Soldi che dobbiamo spendere bene e in fretta se vogliamo finalmente tappare tutte le falle che sono presenti nella nostra rete idrica. Inoltre, secondo la Cgia di Mestre, potrebbe non essere sufficiente creare nuovi invasi, razionalizzare i consumi e mettere a nuovo la rete di distribuzione. Come hanno fatto con successo l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait, Israele e in parte anche la Spagna, non è da escludere che anche l’Italia debba puntare sull’utilizzo dei dissalatori. Certo, le controindicazioni non mancano: come l’elevato consumo di energia elettrica che contraddistingue questi impianti; l’impatto che queste strutture hanno sul paesaggio e i problemi di smaltimento dei prodotti chimici che sono utilizzati per desalinizzare l’acqua. Tuttavia, gli impianti di ultima generazione hanno, almeno in parte, superato molti di questi problemi ambientali. E sebbene i dissalatori in funzione nel nostro Paese siano di piccola dimensione, quelli realizzati nell’Isola del Giglio (GR), a Ustica (PA) e a Ponza (LT) hanno sin qui ottenuto dei risultati molto positivi.
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