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La latitanza di Matteo Messina Denaro, spunta una misteriosa visita a Roma tre anni prima di scoprire il cancro

La circostanza viene fuori da un'intercettazione allegata all'inchiesta dei magistrati della capitale, che nei giorni scorsi ha portato a 18 arresti. Il figlio di un ex boss della banda della Magliana avrebbe protetto il capomafia castelvetranese

Una pista nelle indagini sulla latitanza di Matteo Messina Denaro porta a Roma. Tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018, Antonio Nicoletti, uno dei figli di Enrico (storico cassiere della banda della Magliana), aiutò l'allora super ricercato di Castelvetrano ad essere visitato in un noto centro per cure oncologiche di Roma, l’Istituto tumori Regina Elena. Non si sa se si trattò di un controllo di routine o di un sospetto di cancro, ma questa nuova pista apre nuovi scenari. Fino ad oggi è stato infatti ribadito che Messina Denaro scoprì di avere il cancro dopo l’esame del 5 novembre del 2020, una colonscopia effettuata dal gastroenterologo di Marsala Francesco Bavetta.

Il fatto che Messina Denaro possa essere passato all'istituto di Roma all’insaputa della struttura ospedaliera - che peraltro non è sotto indagine - e dei suoi medici è credibile, in quanto, scrivono gli investigatori romani, «la principale capacità attraverso la quale Nicoletti Antonio consolida la propria rete relazionale di cointeressenze è soprattutto legata alla sanità», contestualizzate «ampiamente anche rispetto a conoscenze dirette del Nicoletti proprio presso l’Ifo», che «certamente gli consentono di poter organizzare in maniera agevole visite o ospedalizzazioni riservate».

Ma da questa inchiesta romana, che nei giorni scorsi ha portato a 18 arresti, viene fuori un altro particolare sul boss di Cosa nostra. Sempre Antonio Nicoletti, dopo questo contatto con Messina Denaro avrebbe cercato di far ottenere all’ex calciatore Francesco Moriero, ricordato da molti tifosi perché quando giocava nell’Inter esultava lustrando le scarpe a Ronaldo il Fenomeno, il ruolo di allenatore del Trapani Calcio. Incarico poi sfumato solo perché il club siciliano aveva appena chiuso l’accordo con un altro tecnico (Vincenzo Italiano, oggi al Bologna).

Su questa pista investigativa ha lavorato la Dia: c’è una informativa del 26 novembre 2020 depositata agli atti dell’inchiesta coordinata dalla Dda della Procura di Roma. Il 21 luglio 2018 gli investigatori romani intercettano una conversazione a Genzano di Roma, tra Nicoletti, il suo socio Pasquale Lombardi e Moriero. Nel corso della conversazione, si legge nell’informativa, «Nicoletti prospettava al Moriero la possibilità di ottenere la panchina del Trapani Calcio (società estranea all’inchiesta della Dia di Roma) dimostrandosi sicuro di poter mediare a favore dello stesso Moriero». L’ex calciatore non è indagato. «Devi parlare con me – dice Nicoletti junior intercettato – ci vuoi andare a Trapani o no? Perché io ti dico una cosa adesso. Non lo faccio ma per te lo faccio. Se ti interessa il Trapani io ti ci mando. Trapani è provincia di? Il paese di coso è di Trapani? Di Matteo Messina? Matteo Messina Denaro sì». «Le parole del Nicoletti – scrivono gli investigatori - sono rafforzate da quelle del figlio Enrico (omonimo del nonno) il quale sottolineava come conoscessero chi lo porta a spasso quello di Castelvetrano». «Quando è stato a Roma, lui lo ha portato a Roma», dice Nicoletti, parlando di Alberto Puma, indicato come vicino al figlio dell’ex boss. Moriero pare incredulo. Più tardi, alle 2.40 della notte, parla con un altro interlocutore: «A me mi ha detto “Sai con chi ho parlato prima per mandarti a Trapani? (...) Mannaggia la m...” Cioè, ma lui ci parla proprio così?». E quell’altro: «Sì, è venuto a Roma quello».

Misteri di almeno sei anni fa. Più recenti, invece, sono quelli che hanno portato gli investigatori a Mazara. Il primo colpo di scena - e non sarà certo l’ultimo - arriva a poche ore dalla maxi-perquisizione disposta dai magistrati della Dda di Palermo in un condominio di 5 palazzi nel centro di Mazara del Vallo. Dopo avere a lungo indagato sugli spostamenti di Matteo Messina Denaro prima della cattura - indagini rese possibili, una volta individuata l’auto usata dal latitante, dalla visione delle telecamere piazzate dagli inquirenti nelle fasi della ricerca e dall’analisi delle celle agganciate dal suo cellulare - gli investigatori hanno accertato che il boss e la sua amante, Lorena Lanceri, frequentavano il complesso immobiliare di via Castelvetrano 45/c.

Una scoperta confermata dal fatto che due chiavi, una sequestrata al capomafia, l’altra alla donna, aprivano il cancello del condominio. Da qui le perquisizioni di appartamenti e garage nel corso delle quali sono stati trovati due box confinanti in cui era stato allestito un appartamento di fortuna. Polizia e carabinieri del Ros, dopo la scoperta hanno perquisito l’abitazione del proprietario del garage, Giuseppe Di Giorgi, trovando una pistola con il colpo in canna e 50 proiettili. Stanotte i pm, coordinati dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, hanno disposto il fermo per detenzione illegale di arma, favoreggiamento aggravato e procurata inosservanza della pena di Di Giorgi accusato di aver fatto parte della rete di fiancheggiatori del padrino. L’uomo, incensurato, avrebbe messo a disposizione dell’ex latitante il garage trasformato in appartamentino e tenuto illegalmente in casa l’arma.

In quello che sarebbe stato un covo in cui rifugiarsi nel momento del pericolo, da ieri sono al lavoro Scientifica e carabinieri del Ros a caccia di impronte. Per aprire il garage gli investigatori che, dalla cattura dell’ex latitante, hanno sequestrato un centinaio di chiavi al boss e a suoi fedelissimi, hanno usato, dopo diversi tentativi, una chiave in possesso di Rosalia Messina Denaro, sorella del capomafia. Una chiave identica era stata sequestrata ad Andrea Bonafede, il dipendente comunale di Campobello di Mazara cugino ed omonimo del geometra che ha prestato l’identità all’ex ricercato. Entrambi, dunque, erano in possesso degli strumenti per accedere al box. Secondo gli inquirenti, i due garage collegati sarebbero stati per Messina Denaro luoghi sicuri e insospettabili in cui nascondere documenti e corrispondenza. All’interno dei locali, di proprietà di due parenti e in cui erano stati allestiti una stanzetta da letto e un cucinotto, sarebbe stato trovato materiale giudicato interessante dagli investigatori. Dopo la scoperta del box la perquisizione si è estesa a casa di Di Giorgi dove è stata trovata la pistola Walther perfettamente funzionante, mai denunciata, nascosta nella cabina armadio tra i vestiti. Accanto all’arma c’erano anche le munizioni. Agli inquirenti l’uomo avrebbe raccontato di averla trovata in strada e di averla portata a casa.
Per i pm, invece, il latitante avrebbe avuto la disponibilità e la possibilità di accedere in via riservata all’area parcheggio del complesso immobiliare e a uno dei garage grazie all’aiuto di Di Giorgi che, oltre a mettergli a disposizione il box, avrebbe custodito, per suo conto, l’arma da fuoco e i proiettili pronti all’uso.

Nella foto il condominio di Mazara del Vallo al centro delle indagine della Dda di Palermo

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