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Sono indagati due medici che curarono Messina Denaro: ai pm hanno detto che non sapevano che fosse il superlatitante

Sono il gastroenterologo ed endoscopista di Marsala Francesco Bavetta e il chirurgo Giacomo Urso, allora all’ospedale di Mazara del Vallo e oggi primario al Civico. Il primo scoprì il tumore, il secondo operò il boss

Giacomo Urso

Sono indagati per favoreggiamento aggravato i due medici che ai magistrati hanno detto di non sapere che il paziente che stavano curando fosse il boss di Castelvetrano, allora latitante, Matteo Messina Denaro. Sono sotto indagine nell’ambito dell’inchiesta sulla rete dei fiancheggiatori che hanno aiutato il boss durante la latitanza.

Sono il gastroenterologo ed endoscopista di Marsala Francesco Bavetta e il chirurgo allora all’ospedale di Mazara del Vallo Giacomo Urso (nella foto). Entrambi i professionisti ebbero in cura l’allora latitante nell’autunno del 2020. Bavetta è lo specialista che il 5 novembre di quattro anni fa diagnosticò al capomafia il cancro al colon, attraverso una colonscopia. Il paziente, che si sarebbe presentato col nome di Andrea Bonafede, era arrivato a lui attraverso Giovanni Luppino, imprenditore di Campobello di Mazara poi arrestato il 16 gennaio del 2023 assieme al boss. Nel covo di Messina Denaro, a Campobello, sono stati trovati i referti compilati da Bavetta e intestati a Bonafede. Il medico, sentito dai pm, ha ammesso di avere eseguito l’esame, ma ha sostenuto di aver saputo solo dopo la cattura che il paziente in realtà era Matteo Messina Denaro.

Urso, invece, è il chirurgo che a soli quattro giorni dalla diagnosi di Bavetta, ha operato di cancro il capomafia. Anche lui, interrogato, ha negato di essere stato a conoscenza della vera identità del malato, che si era presentato come Andrea Bonafede. Urso nel 2022 è divenuto primario all'ospedale di Termini Imerese - dove l'anno scorso, con la sua équipe, asportò un tumore da record, di 16 chili - e in questi giorni è passato invece a dirigere la Chirurgia generale dell'Ospedale Civico di Palermo.

«Il quadro di connivenze in favore di Matteo Messina Denaro fuori e dentro le strutture sanitarie, sta assumendo dimensioni allarmanti e imporrà ulteriori approfondimenti che saranno svolti in un contesto che fino a ora non ha mostrato alcuno spirito collaborativo», scrissero i pm di Palermo nella richiesta di misura cautelare che, mesi fa, portò all’arresto di un altro esponente della sanità, il tecnico radiologo dell’ospedale di Mazara del Vallo Cosimo Leone, indagato assieme all’architetto Massimo Gentile, il professionista che prestò l’identità al boss prima di Bonafede, e a un terzo presunto favoreggiatore.

Al momento le presunte collusioni nell’ambiente medico scoperte, oltre a quelle ipotizzate e da verificare a carico di Bavetta e Urso, sono due: oltre al medico curante del padrino, Alfonso Tumbarello, lo stesso Leone, che avrebbe aiutato il capomafia dopo la diagnosi del tumore, chiedendo di cambiare turno e facendo coincidere la sua presenza in ospedale con gli accertamenti diagnostici eseguiti sul capomafia, informando costantemente della salute del paziente un altro fiancheggiatore, il secondo Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra che aveva prestato al boss l’identità per farsi curare.

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