Sei condanne e otto assoluzioni sono state decise dal Tribunale di Trapani a conclusione del processo scaturito dall’operazione «Palude». L’indagine venne condotta dalla guardia di finanza nel 2018.
L’ex ingegnere capo Giuseppe Pirrello (nella foto), alcamese di 62 anni, è stato condannato a otto anni di reclusione, il figlio Onofrio Pirrello, che all’epoca dei fatti aveva uno studio tecnico in una traversa del corso VI Aprile, a sette anni, l’imprenditore agricolo Francesco Pirrello, cugino di Giuseppe, a sei anni. Ignazio Messana, architetto, è stato condannato a sette anni e Giuseppe Pipitone e Antonino Colletta a quattro anni e sei mesi ciascuno. Per entrambi il pm aveva chiesto l’assoluzione. Sono stati assolti l’ingegnere Gaetano Vallone, Vincenzo e Giuseppe Paglino, Vincenzo Coppola, Giuseppe Maiorana, Vito Emilio Bambina e Francesco e Stefano Gebbia.
Giuseppe Pirrello, attraverso lo studio del figlio, avrebbe curato alcune pratiche assicurando così trattamenti di favore ad alcuni imprenditori a danno di altri. All'ex ingegnere capo, oltre agli otto anni di reclusione, sono state inflitte la confisca di 4 mila e 250 euro, l’interdizione dai pubblici uffici e l’incapacità di contrattare in perpetuo con pubbliche amministrazioni. Stessa pena accessoria al figlio Onofrio e al cugino Francesco. Giuseppe Pirrello oggi è in servizio presso la Regione. Ricopre la carica di dirigente dei servizi di ingegneria regionali per gli enti delle province di Palermo, Caltanissetta, Agrigento e Trapani. Ha dovuto rispondere davanti ai giudici di corruzione e falso ideologico. I giudici hanno confermato la richiesta del pubblico ministero.
Nello studio di Onofrio Pirrello gli investigatori piazzarono cimici e telecamere. Attraverso tale studio tecnico, numerosi professionisti avrebbero goduto di corsie preferenziali e quindi accelerazione nel disbrigo di pratiche presso il Genio civile di Trapani. L’impianto accusatorio della Procura si è basato sulle indagini portate avanti dalla finanza di Alcamo, partite nel 2016 durante controlli sulle forniture di acqua con autobotti da pozzi privati.
La vicenda destò grande scalpore perché Giuseppe Pirrello è molto conosciuto in città, avendo anche ricoperto la carica di presidente in un club service di Alcamo. Secondo le indagini, numerose pratiche, prima di passare al vaglio del Genio civile, sarebbero state esaminate nello studio del figlio Onofrio per cercare di favorire clienti che si rivolgevano a tecnici in prevalenza alcamesi. Da qui una serie di presunti atti contrari ai suoi doveri d’ufficio che sarebbero stati compiuti dall’ex capo del Genio civile. Accuse di corruzione che ha sempre respinto. Nella penultima udienza ha chiesto la parola, soffermandosi in particolare «sul fatto che ha sempre rispettato la legge».
Il professionista è difeso dall’avvocato Saro Lauria, che ha preannunciato appello. Finì per cinque mesi ai domiciliari fin quando la Cassazione annullò il provvedimento del Tribunale del Riesame che aveva rigettato la richiesta di ritorno in libertà. Decisive per le indagini le intercettazioni telefoniche. Nell’operazione Palude vennero indagati 28 tra funzionari pubblici, imprenditori e professionisti nell’ambito di due procedimenti penali tra loro collegati. Ma durante i vari processi sono stati quasi tutti assolti.
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