Un anno dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro si cerca di cogliere i nuovi caratteri della mafia. E già affiorano due tendenze, segnalate da esperti e investigatori. La prima è un progressivo allentamento della stretta di violenza che, con gli attacchi allo Stato, aveva stimolato una devastante risposta repressiva. L’altra tendenza è quella che, attenuando i clamori, mira a spianare la strada verso l’inserimento di Cosa nostra nel sistema degli affari con nuovi metodi e nuove competenze.
Questa linea e la scomparsa di Messina Denaro chiudono allora la lunga stagione stragista? «Su quel periodo si continua a indagare», ha avvertito il procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia. Non tutto è stato accertato e la scomparsa dei maggiori protagonisti, da Totò Riina a Bernardo Provenzano, ha lasciato inesplorati tanti «buchi neri». Il fatto certo è che la struttura di Cosa nostra non è più quella descritta da Tommaso Buscetta. La mafia non ha più un vertice e il suo profilo somiglia a una rete di gruppi con un forte radicamento territoriale. Lo stesso Messina Denaro non era quel padrino tanto celebrato. Non potendo rivendicare l’eredità di Riina e Provenzano, era semplicemente un capo delle cosche trapanesi. In questo quadro la sua figura avrebbe mantenuto un ruolo di riferimento per i gruppi collaterali di interesse, come hanno rivelato le indagini sulla rete di fiancheggiatori.
Ma questo non vuol dire che la pericolosità di Cosa nostra sia venuta meno, accreditata com’è da una «capacità di rigenerazione» che da tempo viene ricordata nelle relazioni della Dia e della Commissione antimafia. Alcune delle inchieste più recenti, come «Cupola 2.0», hanno dimostrano che Cosa nostra non abbandona mai il disegno di riorganizzarsi. E inoltre ha allargato lo sguardo a uno scenario internazionale nel quale si può capire fino a che punto si spinga la sua «capacità di rigenerazione». Un’operazione recente ha fatto riemergere i legami con le «famiglie» americane più legate alla Sicilia, come quella dei Gambino: è il segno che Cosa nostra non intende sopravvivere nella forma di un fenomeno criminale locale.
Nasce a questo punto la domanda su come sarà la mafia di domani. Secondo gli esperti, metterà il proprio futuro nelle mani di soggetti in grado di muoversi tra il lecito e l’illecito. Giovani di famiglie mafiose, ha sostenuto la sociologa Alessandro Dino, «hanno intrapreso studi e percorsi formativi per assumere le competenze di nuovi manager».
L’attenzione è rivolta a una linea di «modernità» che riporta la mafia dentro una rete di poteri intessuti con la politica, la finanza, l’economia, la massoneria, pezzi importanti del mondo professionale. È su questi scenari che si sta cercando di alzare il velo e di definire il ruolo della «borghesia mafiosa» di cui ha parlato il procuratore de Lucia dopo l’arresto di Messina Denaro.
Tutto fa prevedere che la mafia continuerà ad avere le mani su traffici tradizionali come la droga e il racket. Ma sarà decisa a creare un sistema più simile a un’azienda che a una cosca con i boss nelle vesti di manager.
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