Un imprenditore trapanese mette nei guai l’autista di Matteo Messina Denaro: «Luppino mi chiese il pizzo per il padrino», rivela. Si complica quindi la posizione dell’imprenditore agricolo di Campobello di Mazara, Giovanni Luppino, 59 anni, incensurato fino al 16 gennaio 2023, quando venne arrestato a Palermo assieme a Matteo Messina Denaro, al quale faceva da autista. Giovanni Luppino, secondo la testimonianza resa da un imprenditore trapanese, chiedeva il pizzo per conto dell’ormai defunto boss di Castelvetrano. Al teste, gli inquirenti sono arrivati attraverso le intercettazioni.
L’uomo si sarebbe lamentato della richiesta di pizzo al telefono. L’imprenditore trapanese, che ha deposto al processo in cui Luppino è accusato di associazione mafiosa, rispondendo alle domande del pm Gianluca De Leo, ha raccontato che l’imputato, a novembre del 2022, due mesi prima della cattura di Messina Denaro, gli chiese il pizzo per conto del padrino di Castelvetrano. «Mi propose un incontro, dicendomi di lasciare a casa il cellulare, e poi mi chiese un aiuto economico per Messina Denaro», ha raccontato, smentendo la tesi difensiva di Luppino, che ha sostenuto di non conoscere la vera identità dell’uomo al quale faceva da autista, e di avere scoperto solo dopo che dava passaggi al padrino. «Io rifiutai - ha detto ancora il testimone in aula -. Dissi che certe cose non le facevo e che se fosse accaduto qualcosa a me o ai miei familiari sarei andato dai carabinieri».
Giovanni Luppino, nell’ultima udienza dello scorso 12 dicembre, aveva chiesto di essere sentito dal gip. In quella circostanza aveva fatto una sorta di dietrofront rispetto alle poche dichiarazioni iniziali, cercando di dare una sua versione sui rapporti intercorsi fra lui e Matteo Messina Denaro. Inizialmente, infatti, aveva detto di non sapere che l’uomo accompagnato alla clinica La Maddalena di Palermo per le terapie il giorno del blitz fosse il latitante, che il padrino gli avrebbe dato un nome falso e gli avrebbe chiesto un passaggio. Una versione questa smentita dalle indagini degli investigatori del Ros in questi mesi e che Luppino ha in quell’occasione parzialmente modificato. Ai pm Piero Padova e Gianluca De Leo, l’imprenditore ha detto che Andrea Bonafede, suo compaesano che non frequentava abitualmente, nel 2020 gli presentò un uomo sostenendo che fosse suo cugino, chiedendogli di accompagnarlo a Palermo per delle cure.
Un giorno, però, il passeggero, conosciuto col nome di Francesco, durante uno dei viaggi per il capoluogo si sarebbe sentito male e, all’invito di Luppino di andare in ospedale, avrebbe detto: «Portami a casa, sono Messina Denaro, non posso andare in ospedale». Da allora, ha spiegato Luppino ai magistrati, «per ragioni umanitarie», sapendo che il boss era gravemente malato, l’avrebbe continuato ad accompagnare alle terapie. Di volta in volta, il padrino gli avrebbe lasciato nella cassetta delle poste un biglietto con l’orario dell’appuntamento successivo.
Una versione che, per gli inquirenti, ha ancora troppi punti oscuri. Dalle analisi delle celle telefoniche di Luppino risulta che per 50 volte in due anni, avrebbe portato il capomafia in clinica. Luppino ha negato di avere rapporti di frequentazione con Bonafede e con la cugina Laura, altra favoreggiatrice del boss, ma gli investigatori hanno scoperto che la donna ha battezzato i figli dell’imprenditore. Dopo anni passati a coltivare la terra, Luppino aveva messo su una piccola attività di rivendita di cultivar Nocellara del Belìce, prodotto Dop del territorio di Campobello di Mazara e Castelvetrano. Luppino metteva in contatto produttori e grossisti campani. Lanciato nel business, aveva aperto uno stabilimento che gestiva insieme con i figli.
Nella foto l'arresto di Luppino
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