Tamponi molecolari processati con apparecchiature giudicate non idonee. Un caso scoppiato nell'ottobre 2020 e che oggi (10 novembre) ha avuto un seguito giudiziario nei confronti di tre sanitari e con perquisizioni fra Alcamo e Marsala.
Nel dettaglio è stata disposta la sospensione dall'esercizio dei pubblici uffici, il divieto temporaneo di concludere contratti con la pubblica amministrazione e di esercitare attività nel settore sanitario e delle analisi di laboratorio nei confronti delle persone coinvolte.
Quello di oggi è il seguito delle indagini legate alla vicenda del centro diagnostico di Alcamo che, durante la pandemia, processava tamponi molecolari con apparecchiature giudicate non idonee. Il cosiddetto “scandalo dei tamponi” era scoppiato nell'ottobre 2020. In quella occasione i carabinieri del Nas di Palermo avevano effettuato un controllo in un centro diagnostico di Alcamo che era accreditato con l’Asp di Trapani. Dagli accertamenti sarebbe emerso che, nonostante il laboratorio non avesse superato, a causa delle apparecchiature in uso, gli standard previsti dal programma regionale di controllo della qualità, continuava a processare tamponi sia per conto dell’Asp che di privati.
Su disposizione della Procura di Trapani i militari avevano sequestrato la struttura. Dalle indagini, portate avanti con la collaborazione della compagnia dei carabinieri di Alcamo, è emerso che la società che gestiva il laboratorio di analisi, avrebbe commesso una frode nell'esecuzione del contratto stipulato con l’Asp, avendo attestato di essere in regola con la normativa in materia di controllo di qualità, nonostante utilizzasse apparecchiature non idonee. Le ulteriori indagini hanno fatto emergere che: «Numerosi tamponi molecolari venivano prelevati all'esterno delle strutture sanitarie, da intermediari o collaboratori del consorzio, che esercitavano abusivamente la professione sanitaria/infermieristica, in assenza di speciale abilitazione o di qualunque titolo abilitativo».
I tamponi sarebbero stati poi processati nel laboratorio o fatti recapitare dal personale del consorzio presso il Sant’ Antonio d’Abate di Trapani dove – secondo le risultanze investigative - grazie all’illecita collaborazione di una biologa che operava all’interno di quella struttura, venivano analizzati nel laboratorio ospedaliero, dietro compenso. Numerosi i reati contestati dall’autorità giudiziaria ai coinvolti nella vicenda, a cui si aggiungono altre 9 persone indagate in stato di libertà, per frode in pubbliche forniture, esercizio abusivo della professione sanitaria, falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale, falsità materiale commessa dal privato.
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