«Tengo in chiaro che io non so niente di Firenze, io non so niente anche perché non c’è mai stata in una mia condanna nessun riscontro oggettivo. Quello di Firenze, qualora fosse vero, non è che si volevano uccidere persone, anche perché ci sono collaboratori che dicono che la finalità non era uccidere delle persone. Solo che il problema è stato secondo me che sono andati con la ruspa, cioè hanno ucciso la mosca con le cannonate. Perché si sa che se si mettono bombe, possono cadere degli innocenti». È quanto ha dichiarato in un interrogatorio il boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro, qualche mese prima della morte, arrivata per cancro lo scorso 25 settembre.
L’interrogatorio reso al gip nei mesi scorsi, ora depositato senza omissis, fornisce la versione che il boss dava della strage dei Georgofili, precisando, come suo costume, di essere comunque estraneo ai fatti. Nell’attentato, compiuto tra il 26 e il 27 maggio del 1993, morirono cinque persone, tra le quali due sorelline.
Sempre continuando a negare di aver avuto un ruolo nelle bombe di Firenze, il capomafia aveva aggiunto: «La finalità era prendersela con lo Stato, con i beni dello Stato». E ancora: «Non è stato secondo me un errore - ha spiegato -, è stato menefreghismo che è peggio, perché l’errore può essere perdonato. Ma se io capisco e intuisco che là succedeva una strage ecco che una bomba là non sarebbe mai stata messa». E in conclusione: «Il problema è che hanno usato gente che non vale niente».
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