Francesco Isca, destinatario della confisca da 12 milioni della Dia, nel febbraio del 2020 era finito ai domiciliari perché coinvolto nell'operazione dei carabinieri Phimes. Indagando sull'imprenditore gli investigatori scoprirono i legami con il boss di Vita, Salvatore Crimi, “dal quale risulta che l’imprenditore - scrivevano gli investigatori - abbia ottenuto sia le risorse finanziarie per avviare e alimentare le proprie aziende, che la copertura per espandersi sul mercato, imponendosi nei lucrosi affari legati alla realizzazione delle grandi opere pubbliche a danno delle imprese concorrenti alterando il corretto funzionamento del libero mercato e violando le regole della leale concorrenza. L’organizzazione mafiosa – scrivevano ancora gli investigatori - avrebbe, ricavato una serie di vantaggi, accrescendo la propria capacità di penetrazione e controllo delle attività economiche nel territorio di riferimento, ottenendo non solo denaro ma anche possibilità di lavoro per imprese e persone appartenenti all’organizzazione criminale”. Di Isca ha parlato ai magistrati anche Nicolò Nicolosi (pregiudicato) che lo conosce come un “imprenditore finanziato dalle famiglie mafiose di Calatafimi e di Vita e protagonista nel mercato del calcestruzzo grazie al sostegno mafioso ricevuto e ricambiato”. Nicolosi dice anche che “Isca aveva il monopolio della fornitura di cemento in provincia di Trapani, che doveva avere le sue forti entrature, doveva avere un monopolio sostenuto da esponenti di primo piano della criminalità organizzata”. Ancora Nicolosi dichiara ai magistrati: “Isca provvedeva al sostentamento economico della sorella di Salvatore Crimi. Isca con la donna aveva una relazione e anche quando questa è finita le dava dei soldi e questo perché era suo dovere provvedere al sostentamento della famiglia mafiosa dei Crimi quale controprestazione per il sostegno che la famiglia garantiva alle sue imprese”. C'è poi una intercettazione in cui Isca è consapevole dei guai in cui si trovava. L'imprenditore infatti riferisce che si trova in una situazione un po’ delicata: “Io ho la famiglia Crimi n'cape e spadde come se fossi il referente... Salvatore Crimi dice giustamente che io sono discepolo suo... Vito Musso che lavorava con me perché suo padre mi ha condizionato... Anna Crimi perché me la mantengo io... Che devo fare, devo peggiorare ancora? Devo peggiorare ancora?”. Se lo chiede due volte Isca, e gli inquirenti all'ascolto prendono nota e scoprono che l'imprenditore sarebbe stato al centro di grossi affari. Negli anni sono pure emersi i rapporti con Giovanni Filardo, cugino di Matteo Messina Denaro, e con Vito Nicastri, il «signore del vento» finito nell'indagine della Dia di Trapani che nel 2019 coinvolse un sottosegretario nazionale, politici e funzionari della regione siciliana. Ed è proprio nel corso delle indagini su Isca che gli investigatori della Dia scoprono che l’imprenditore del calcestruzzo di Calatafimi, ha tra le mani il progetto per la realizzazione di un impianto di smaltimento dei rifiuti in contrada Gallitello a Calatafimi Segesta. La società promotrice era la Solgesta srl di Roma, società inattiva, realizzata per questo progetto, partecipata occultamente non solo da Nicastri ma anche da Isca. Emergono così co-interessenze economiche tra Isca e Vito Nicastri e tra quest’ultimo e Paolo Franco Arata.