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Mafia, morto il pentito Francesco Geraci: fu braccio destro di Messina Denaro

Castelvetrano, città natale del gioielliere Francesco Geraci

Si stava curando per un tumore al colon. È morto oggi a Milano, Francesco Geraci, 59 anni. Gioielliere di Castelvetrano, Geraci è deceduto in una clinica dove stava cercando di curarsi per un tumore al colon, la stessa patologia dell’ex latitante, catturato poche settimane fa.

Dopo l’arresto nel 1994 è diventato collaboratore di giustizia. Geraci ha rivelato agli investigatori particolari e retroscena della stagione delle stragi. Anche se non formalmente affiliato a Cosa nostra, il gioielliere è stato tra gli uomini più fidati di Matteo Messina Denaro scelti per partecipare alla missione romana voluta da Totò Riina per eliminare Giovanni Falcone. Era stato il custode dei gioielli di famiglia dell'allora capo di Cosa nostra.

I monili furono sequestrati su sua indicazione in una cassetta nascosta sotto al pavimento in un appartamento a Castelvetrano: collier, orecchini, Cartier, crocifissi tempestati di brillanti, diamanti, sterline e lingotti d' oro per oltre due miliardi di vecchie lire. Il suo contributo come collaboratore di giustizia è stato fondamentale per ricostruire le fasi preparatorie di alcuni progetti d'attentato che l'ala stragista di Cosa nostra stava preparando contro politici e giornalisti e non solo, nella lunga lista c'era anche il giudice Giovanni Falcone. Alla fine di febbraio del 1992, un gruppo di killer guidati da Messina Denaro e Giuseppe Graviano arrivarono nella capitale con l’obiettivo di assassinare il magistrato Giovanni Falcone.

I racconti di Geraci ai magistrati

Francesco Geraci raccontò: «C’era una lista di persona da uccidere. Cercavamo anche Falcone che andava al ministero. Avevamo compiti differenti io e Vincenzo Sinacori (altro fedelissimo amico dell'ex boss di Castelvetrano, ndr)». E ancora: «Andammo a Palermo, con Matteo Messina Denaro, a una riunione, alla quale non mi fecero prendere parte, credo perché non contavo niente. C’erano Matteo Messina Denaro, Renzo Tinnirello, i fratelli Graviano, Vincenzo Sinacori, Salvatore Biondo, fu in quela occasione che si decise che si doveva andare a Roma». «Nella Capitale eravamo io Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano, Renzo Tinnirello, Enzo Sinacori, e un’altra persona. Mi portarono a Roma perché avevo la carta di credito. E lì presi una macchina a noleggio».

Quella missione fu annullata. Totò Riina ordinò ai suoi di tornare in Sicilia. Alcune settimane dopo, però Matteo Messina Denaro disse a Geraci di non andare a Palermo. Il gioielliere raccontò di essersi contrariato: «Ma come non andare? Io devo andarci ogni giorno per lavoro». Il boss, però, aveva una soluzione: «E allora esci ad Alcamo o a Partinico e fai la strada vecchia». L’importante era non prendere l’autostrada. Il 23 maggio, quando saltò in aria l’autostrada a Capaci, uccidendo Falcone, Messina Denaro tornò da Geraci con un mezzo sorrisino stampato in faccia: «Adesso puoi andare a Palermo».

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