Torna per la seconda volta in Cassazione il processo contro l'ex senatore trapanese Tonino D’Alì, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Già a gennaio del 2018, il procedimento contro l'ex sottosegretario all'Interno (D'Alì ricoprì quella carica dal 2001 al 2005) finì davanti alla Suprema Corte, in quella occasione i giudici annullarono con rinvio ad un nuovo processo di appello, la sentenza con la quale l'ex senatore di Forza Italia, era stato assolto per le accuse successive al 1993 e prescritto per i reati contestati per il periodo precedente.
A luglio 2021 la Corte di Appello di Palermo condannò a sei anni di reclusione l'ex politico trapanese. Il provvedimento fu letto dal presidente del collegio, il giudice Antonio Napoli, dopo una breve camera di consiglio. La Procura generale, con il pg Rita Fulantelli, aveva chiesto la condanna a 7 anni e 4 mesi, mentre la difesa aveva invocato l’assoluzione. Nel frattempo i legali di D'Alì hanno presentato ricorso ed ora la Cassazione ha fissato la data dell'udienza che si terrà l'11 ottobre prossimo.
A ottobre nel 2021 furono depositate le motivazioni con le quali i giudici della Corte d’Appello di Palermo condannarono Antonio D’Alì a sei anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. I giudici riassumono in 138 pagine i rapporti consolidati con i Messina Denaro, dal vecchio don Ciccio, campiere dei terreni della famiglia D’Alì, al figlio Matteo, ad oggi “primula rossa”.
«D’Alì, ha manifestato la propria disponibilità verso (o vicinanza a) cosa nostra dai primi anni ‘80 del secolo scorso fino agli inizi dell’anno 2006 e comunque non vi è prova di una condotta di desistenza dell’imputato incompatibile con la persistente disponibilità ad esercitare le proprie funzioni ed a spendere le proprie energie in favore del sodalizio mafioso». Così si legge in quelle pagine.
Il processo d’appello bis era iniziato dopo la sentenza della Corte di Cassazione che aveva annullato con rinvio la prima sentenza d’appello del settembre del 2016, in cui l’ex sottosegretario di Forza Italia venne assolto per le contestazioni successive al 1993. Nel primo processo il gup di Palermo, lo aveva assolto, dichiarando prescritti gli eventuali reati compiuti in un periodo precedente a quella data, tra cui la compravendita fittizia di un terreno in contrada Zangara, «diretta da Matteo Messina Denaro», come raccontato dal pentito Francesco Geraci. Nel 1996, durante un processo a Trapani per diffamazione, Geraci raccontava di aver intrattenuto rapporti con D’Alì «il banchiere... forse ora è Onorevole», per ottenere la restituzione in contanti dei pagamenti che aveva ricevuto con degli assegni. Un dettaglio che fu confermato anche dal fratello di Geraci, Tommaso, rispetto alla riconsegna del denaro ad uno dei D’Alì, «uno con la barba che forse fa il senatore».
La Dda di Palermo archiviò l’inchiesta ritenendo di non poter identificare in D’Alì l'uomo indicato dai due fratelli. Nelle motivazioni della sentenza si legge tra l’altro che «D’Alì ha concluso nel 2001 dopo una invero già ventennale disponibilità verso il sodalizio mafioso, un patto politico/mafioso con Cosa nostra in forza del quale il sodalizio gli ha garantito l’appoggio elettorale che ha consentito all’imputato di essere nuovamente eletto al Senato (elezione che poi ha costituito da viatico per l’acquisizione dell’incarico di sottosegretario al ministero dell’Interno)».
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