La Corte Suprema di Cassazione – prima sezione penale – ha scritto la parola fine sull’annosa vicenda che ha visto come negativo protagonista Roberto Sparacio (soprannominato l’Unabomber di Pantelleria), ingegnere informatico, palermitano, ma pantesco di adozione. La Corte, anche avallando la requisitoria del procuratore generale presso la Corte di Cassazione, ha rigettato il ricorso proposto dallo Sparacio, avverso la sentenza del 12 aprile 2021 emessa dalla terza sezione penale della Corte di Appello di Palermo, che aveva condannato l’imputato alla pena di tre anni di reclusione, in parziale riforma della sentenza di primo grado di 5 anni e 8 mesi che era stata emessa il 17 giugno 2020 dal gup di Trapani Emanuele Cersosimo. La Cassazione ha confermato la condanna dell’ingegnere informatico al risarcimento del danno in favore delle stesse parti civili: Ordine degli Avvocati di Trapani per 5.000 euro , ispettore Gian Camillo Aceto, da liquidarsi in separato giudizio civile, con una provvisionale immediatamente esecutiva pari a 25.000 euro, Andrea Policardo, difeso dall’avvocato Antonio Consentino, pari a 25.000 euro, oltre alle spese e compensi per la costituzione di parte civile in grado di appello, nonché Salvatore Monroy, 50.000 euro. Tra il 2016 e il 2018 lo Sparacio si era reso responsabile di tre attentati con materiale esplosivo e sostanze chimiche che ferirono altrettante persone, causando loro seri danni permanenti. Una pennetta era scoppiata nella mani dell’ispettore di polizia giudiziaria Gianni Aceto. La pennetta era contenuta in un plico indirizzato all’avvocato trapanese, Monica Maragno, che si era insospettita circa la provenienza e, quindi, l’aveva consegnato alla Procura della Repubblica. Quando, a conclusione delle indagini condotte dalla stessa squadra di Polizia giudiziaria della Procura, si risalì a Sparacio venne alla luce che l’ingegnere aveva inviato un’altra pen drive esplosiva alla titolare di un bar di Palermo: rimase ferito un avventore del locale. Sparacio aveva procurato lesioni anche ad un suo ex dipendente, con il quale era entrato in conflitto, utilizzando del materiale con cui realizzava inneschi pericolosi. Nella sua abitazione, infatti, sarebbero stati scoperti dagli investigatori anche manuali sugli esplosivi ed un vero e proprio laboratorio, dove l’ingegnere avrebbe potuto miscelare sostanze chimiche e preparare congegni. Le pen drive avrebbero avuto lo scopo di «punire» persone che avevano, a vario titolo, «intaccato», o tentato di farlo, il patrimonio della sua famiglia. «Ci riteniamo estremamente soddisfatti - ha dichiarato l’avvocato Antonio Consentino -. La sentenza della Cassazione non può lasciare adito alcuno a perplessità circa le condotte dello Sparacio, il quale, peraltro, era perfettamente consapevole dei gravi fatti commessi e delle conseguenze dei medesimi episodi criminosi».