È l'ultimo padrino di Cosa Nostra ancora in libertà. È Matteo Messina Denaro ritenuto tra i latitanti più pericolosi d'Europa. Oggi, 3 giugno 2022, si contano esattamente 29 anni di latitanza.
Di lui non si hanno foto segnaletiche né impronte digitali. Se un giorno venisse fermato, potrebbe essere riconosciuto solo attraverso l'esame del Dna. Classe 1962, è nato il 26 aprile a Castelvetrano, figlio di Francesco e Lorenza. Un fratello Salvatore ed una sorella Patrizia, finiti in prigione in una operazione antimafia effettuata nel dicembre 2013. La casa della sorella era stata definita dagli inquirenti «la stazione di posta del fratello latitante». Ma nel tempo sono finiti in carcere nipoti e cugini, gregari e fiancheggiatori del boss.
Matteo Messina Denaro appartiene alla generazione di mafiosi successiva a quella di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Conosciuto anche come “U siccu", o diabolik come il suo fumetto preferito (come lui avrebbe voluto farsi montare due mitra nel frontale della sua 164, ndr), è considerato capo e rappresentante indiscusso della mafia trapanese. Diventa uccel di bosco il 3 giugno del ’93 su di lui un ordine di arresto numero 267/93 per 4 omicidi, emesso da un giudice palermitano il 2 giugno 1993.
Tre giorni dopo scrive una lettera alla ragazza con cui era fidanzato all’epoca, per annunciarle la sua fuga: «Non so se hai capito che nell’operazione di ieri da parte dei carabinieri c’è anche un mandato di cattura nei miei confronti… Qualunque cosa abbiano messo è soltanto una grande infamia, perché sono innocente… È iniziato il mio calvario, e a 31 anni, e con la coscienza pulita, non è giusto né moralmente né umanamente… Spero tanto che Dio mi aiuti… Non voglio neanche pensare di coinvolgerti in questo labirinto da cui non so come uscirò… Vuol dire che il nostro destino era questo. Spero tanto, veramente di cuore, che almeno tu nella vita possa avere fortuna… Non pensare più a me, non ne vale la pena… Con il cuore a pezzi. Un abbraccio, Matteo».
Da latitante è riuscito ad avere due figli, una ragazza di cui si conosce anche la madre, e un maschio, Francesco, come il nonno paterno don Ciccio Messina Denaro. Le uniche certezze dell’esistenza di quel bambino, nato tra la fine del 2004 e l’inizio del 2005 in un triangolo compreso tra i Comuni di Partanna, Castelvetrano e Campobello, starebbero nelle intercettazioni rubate ai familiari del boss, che ne parlano più di una volta, facendo capire persino che il padre si sarebbe pure arrabbiato e avrebbe chiesto la prova del Dna.
È stato Matteo Messina Denaro a creare a Trapani la mafia infiltrata nell’economia, nelle imprese, nelle banche a farla diventare una mafia imprenditrice. Lo confermano i maxi sequestri di milioni di euro, tutti recano il sigillo del super latitante. La mafia trapanese che un tempo ha saputo sparare oggi è sommersa, vive dentro le imprese, essa stessa è impresa, una volta faceva eleggere i politici, oggi elegge mafiosi destinati a diventare politici, è rappresentata da mafiosi dalle doti imprenditoriali, manager del commercio e del cemento.
Totò Riina, nei dialoghi registrati in carcere, l’ha accusato di aver abbandonato la causa di Cosa nostra per pensare ai fatti propri: «Non ha fatto niente... io penso che se n’è andato all’estero». Giuseppe Tilotta, sospettato di far parte della mafia trapanese, si sfogava così nell’agosto 2015: «Ma anche questo, che minchia fa? Cioè, arrestano i tuoi fratelli, le tue sorelle, i tuoi cognati e tu non ti muovi? Ma fai bordello!». «Io sono del parere che questo qualche giorno, a meno che non lo abbia già fatto, si ritira... e gli altri vanno a fare cose a nome suo quando lui oramai non c’è più qua…».
Matteo Messina Denaro è quello che si vantava che da solo aveva riempito un intero cimitero per i suoi morti ammazzati, comprese quelle delle stragi mafiose del 1993 di Roma, Milano e Firenze. Fino ad oggi ha guidato la mafia che è stata capace di intercettare quei fondi pubblici che sono arrivati per anni in una provincia povera e che, invece di diventare ricca si è ritrovata ogni giorno sempre più povera. Per la Direzione Investigativa Antimafia, la figura di Messina Denaro, «a capo del mandamento di Castelvetrano e rappresentante provinciale di Trapani, costituisce ancora il principale punto di riferimento per le questioni di maggiore interesse dell’organizzazione, nonostante la lunga latitanza».
Matteo Messina Denaro continua ancora oggi ad essere onorato e rispettato come un «Dio» da tutta la consorteria. Vale la pena ricordare come in una operazione antimafia della polizia «Golem» - uno degli indagati intercettato diceva all’altro interlocutore al telefono di essere propenso a lasciare moglie e figli pur di onorare ed aiutare il boss latitante.
La caccia alla primula rossa di Castelvetrano non si è mai fermata. Castelvetrano è stata rivoltata come un calzino, negli ultimi dieci anni sono stati arrestati oltre 200 tra familiari, parenti di primo e secondo grado, fiancheggiatori e amici del boss, ma di lui solo avvistamenti in Italia e all'estero.
Allora la domanda è chi protegge ancora Matteo Messina Denaro? Chi si occupa della sicurezza, della persona e della salute di questo criminale? La pressione dello Stato non ha fino ad oggi scalfito quel muro di omertà che circonda da anni il latitante. Tranne le dichiarazioni del defunto cugino del boss, Lorenzo Cimarosa, ad oggi neppure i vari collaboratori di giustizia, come Andrea Mangiaracina o Vincenzo Sinacori hanno mai portato al latitante. A dimostrare una sorta di patto di sangue e d'onore che ancora vige tra gli uomini della cosca vicini a Matteo Messina Denaro.
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